Leggere Italiano o straniero? Perché il nostro mercato è così esterofilo?
Leggete le riflessioni della nostra Teresa Siciliano!
Già Gramsci si rammaricava del fatto che in Italia non esistesse una letteratura popolare e che perciò nelle appendici dei giornali venissero pubblicati vecchi romanzi francesi, attribuendone la responsabilità, mi pare, al ceto intellettuale, discendente dai cortigiani rinascimentali e mai interessato al popolo. Ancora Sapegno nel dopoguerra, facendo il confronto fra Naturalismo e Verismo, sottolineava l’arretratezza culturale verghiana, che rifletteva quella del paese sia da un punto di vista generale che specificamente economico, e le posizioni sostanzialmente conservatrici, se non peggio, almeno dagli anni novanta in poi: mentre Zola si batteva a favore di Dreyfus contro i ceti militari, antisemiti e reazionari, Verga plaudiva a Bava Beccaris e alla sanguinosa repressione dei moti milanesi del 1898, che interpretava come sovversivi e nemici dell’unificazione risorgimentale.

Particolarmente coinvolto il genere romance sia storico che contemporaneo.
Intendiamoci: non è che io voglia sostenere posizioni, diciamo così, autarchiche. Ricorderete che già nel 1816 madame de Staël accusava giustamente gli intellettuali italiani di arretratezza e li invitava a leggere la contemporanea letteratura europea. Da allora le cose sono perfino peggiorate: i nostri scrittori romantici più importanti, Manzoni e Leopardi, sono pochissimo conosciuti all’estero e forse qualcuno ricorderà che la RAI non è riuscita a vendere in America I promessi sposi di Nocita. Dei grandi scrittori italiani del Novecento mi pare che soltanto Pirandello e Calvino, oltre al solito Il nome della rosa di Eco, abbiano avuto risonanza internazionale. Viviamo appunto, come è stato detto, alla periferia dell’impero e siamo stati pacificamente colonizzati dalla cultura angloamericana. Da questa situazione di fatto bisogna partire.

Notizie provenienti dalla Mondadori affermano che il pubblico ama le autrici e le ambientazioni soprattutto inglesi, ma in ogni caso non nostrane: chi legge rosa cerca l’evasione dalla realtà quotidiana, si afferma. E le statistiche sulle vendite sembrerebbero confermare il fenomeno.
Ovviamente io non rientro in questa tipologia. Fosse per me, leggerei quasi soltanto romance storici ambientati in Italia. Mi piace che mi vengano ricordate le sfaccettature regionali del nostro Risorgimento o del nostro Rinascimento, continuo a chiedere settecento milanese e adoro il nostro medioevo, ma nell’insieme non trovo poi moltissimi libri. In questo momento sto leggendo il Cangrandedella Barbieri e di recente è stato ripubblicato Cuore di lupo della Albanese e Il prigioniero della Masella, ma di solito Mondadori ci porta sempre nell’Inghilterra regency o in Scozia, qualche volta in America.

La cosa più strana per me è che alcune eccellenti scrittrici come Monica Lombardi, fra Mike Summers e il GD Team, ci portano sempre solo sul palcoscenico internazionale, con appena qualche sporadica incursione nella penisola. Lo stesso fa la Giorgi con la serie americana o la Melville con i Tourangeau, anche se per queste due ultime scrittrici non si tratta di una regola costante.
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Intendiamoci: non si tratta di innalzare altri muri alle frontiere. Viviamo nell’era della globalizzazione, che ha, e soprattutto può avere, grandi aspetti positivi. Si tratta solo di importare le opere innovative di maggiore rilievo e non, come si direbbe a Roma, tutta la mondezza che, per ragioni incomprensibili, fa impazzire le lettrici americane. Mi pare, però, che la Mondadori, un tempo leader nella narrativa popolare, stia attraversando un periodo difficile: ha ridotto notevolmente i titoli in uscita, non parliamo poi di quelli italiani, e traduce spesso, non dico sempre, emerite schifezze vecchie come il cucco, per giunta stampandole male, fra incredibili refusi e punteggiatura, diciamo, ballerina.