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Romantic Xmas: "UNA SPOSA PAZIENTE" di Laura Gay.

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Vi stanno piacendo i nostri racconti? Oggi per voi c'è una vera chicca di tenacia, romanticismo e passione. La bravissima LAURA GAY, per la rassegna "Romantic Xmas",vi porterà nell'Hertfordshire del 1811, nella tenuta del barone Glastonbury, un uomo distrutto dalla guerra. La giovane Catherine riuscirà a regalargli una speranza?
Scopritelo nel racconto "UNA SPOSA PAZIENTE".

Buona lettura!







Hertfordshire, dicembre 1811



La carrozza correva veloce sul selciato producendo di tanto in tanto qualche scrollone. Catherine si sporse verso il finestrino ammirando le distese innevate della campagna inglese, il cuore che le tamburellava nel petto.

Ancora non riusciva a crederci.
Era la moglie di Edward Grenville, barone Glastonbury. L’uomo di cui era sempre stata innamorata.

Si morse piano il labbro e tornò a guardarlo senza essere vista. Era così bello: alto, muscoloso, i capelli castani indomabili, le cui ciocche setose gli ricadevano puntualmente sulla fronte. Il mento era quadrato, il naso lungo e dritto. Solo una cicatrice sullo zigomo destro gli deturpava il viso – unico segno lasciatogli dalla guerra in Spagna – ma Catherine era fermamente convinta che quell’imperfezione gli donasse, rendendolo ancora più affascinante.

Sospirò. Se lui si fosse sentito attratto da lei anche solo la metà, avrebbe potuto dirsi soddisfatta. Ma non si illudeva: Edward l’aveva sposata unicamente per ripiego. In realtà, era sua sorella Victoria a fargli battere forte il cuore. Lei che era stata la sua prima scelta, ma che aveva deciso di sposare un altro senza attendere il suo ritorno dalla guerra.

Le mani le tremarono un poco mentre stringeva con forza il ventaglio. Ancora non sapeva cosa aspettarsi da quell’unione, eppure aveva quella flebile speranza che non l’abbandonava mai.

Signore, ti prego… fa che lui impari ad amarmi.

Si schiarì la voce. «Manca ancora molto, milord?»

Lui reclinò il capo, le dita che tamburellavano nervosamente sulla coscia. «No, non molto. Dovremmo arrivare a Hatfield Park tra una ventina di minuti.» Il tono era brusco, quasi spazientito. Come se la sua domanda lo avesse irritato.

Catherine tornò a mordersi il labbro.

Quelle erano le uniche parole che si erano scambiati durante l’intero viaggio, da quando avevano lasciato Londra, subito dopo aver salutato amici e parenti a cerimonia conclusa. Lord Glastonbury desiderava raggiungere la sua residenza di campagna nel minor tempo possibile, in modo da poter trascorrere le festività natalizie nella quiete dell’Hertfordshire. Ma Catherine sospettava che in realtà il suo sposo desiderasse solo allontanarsi da tutti e da tutto per nascondersi nella propria solitudine. Il pensiero che intendesse chiudere anche lei al di fuori della propria vita le serrava lo stomaco.

«Parlatemi di Hatfield Park» chiese nella speranza di intavolare una discussione, anche se breve. Il silenzio la stava uccidendo.

Edward serrò la mascella, i freddi occhi grigi che si stringevano fino a diventare due fessure di ghiaccio. «Perché mai dovrei parlarvene? Tra poco la vedrete coi vostri occhi.»

Distolse immediatamente lo sguardo da lei, come a farle intendere che non desiderava ulteriori interruzioni. Catherine strinse le dita sul manico del ventaglio che portava sempre con sé; un regalo della sua defunta madre. Non proferì parola, anzi si immobilizzò nella speranza di produrre il minimo rumore.

Avrebbe voluto scomparire. Dileguarsi.

Forse in questo modo lord Glastonbury si sarebbe sentito sollevato.






Edward era infastidito. Molto infastidito.

Aveva immaginato diversamente il giorno delle sue nozze. Al suo fianco avrebbe dovuto esserci Victoria, non la sorella.

Diamine, Catherine Paget era ancora una ragazzina di diciassette anni! Una bella differenza d’età, dal momento che lui ne aveva quasi trenta.

Si appoggiò allo schienale della carrozza ignorando i continui sobbalzi dovuti alle buche nel terreno. Chiuse gli occhi, nel tentativo di dimenticare quell’orribile giornata e il visino spaurito di sua moglie seduta davanti a lui.

Se solo Victoria lo avesse aspettato, se non fosse convolata a nozze con quell’idiota di Sackville… allora il suo matrimonio sarebbe stato diverso; sarebbe stato un giorno di festa. D’altra parte non poteva pretendere che una giovane donna bella e fiera come Victoria potesse desiderare di mettere su famiglia con un uomo sfigurato. La guerra gli aveva lasciato profonde cicatrici e quella sul viso era solo la più evidente.
Non sarebbe stato una buona compagnia per lei.

Oddio, non lo sarebbe stato neppure per quella fragile creatura che aveva sposato. Ancora si chiedeva perché mai la piccola Catherine avesse acconsentito a quell’unione; con ogni probabilità vi era stata costretta per gettare una pezza sull’onta della sorella, che aveva rotto il fidanzamento con lui per convolare a nozze con un altro.

In verità Edward non aveva osato chiederglielo e nemmeno gli importava.

Tutto ciò che desiderava era l’oblio.

Dimenticare il matrimonio, la guerra, i corpi martoriati che aveva visto a Badajoz. Le sue dita smisero di tamburellare sulla coscia e si strinsero, conficcando le unghie nei palmi.

No, non sarebbe stato una buona compagnia per una moglie.

Non sarebbe stato una buona compagnia per nessuno.






Hatfield Park apparve all’orizzonte in tutta la sua magnificenza. Catherine ne fu inevitabilmente impressionata. Un viale alberato conduceva fino all’edificio principale: una costruzione massiccia in pietra, a tre piani, con una torretta nell’ala destra che dava l’impressione di arrivare fino al cielo, tagliando a metà le nuvole.

Il parco era vastissimo e circondava l’intera proprietà. Gli alberi, del tutto spogli in quella stagione, in primavera sarebbero fioriti donando all’ambiente circostante un aspetto fiabesco. Catherine era certa che lo avrebbe adorato. Così come avrebbe adorato il laghetto artificiale che si estendeva a est, adesso interamente ghiacciato, ma di cui poteva immaginare le acque limpide in cui tuffarsi durante le afose giornate estive.

«È tutto meraviglioso qui» esclamò incredula, sporgendosi dal finestrino come una ragazzina, eccitata alla vista di qualcosa di così grandioso.

Suo marito fece una specie di grugnito.

Lui non sembrava affatto eccitato. Tutt’altro.

Catherine si chiese se sorridesse ogni tanto.

La carrozza si arrestò con un cigolio davanti all’ingresso principale e un valletto in livrea si affrettò ad aprire lo sportello per aiutarla a scendere. Edward fece da solo. Nonostante la lieve zoppia che gli aveva lasciato la guerra, non amava farsi aiutare. Catherine lo aveva compreso a sue spese quando si era offerta di dargli una mano a salire, porgendogli il braccio, e in risposta aveva ricevuto un’occhiata bellicosa.

Si strinse nel pesante mantello di lana e si guardò attorno con curiosità, ignorando il malumore del suo sposo. L’intera servitù si era schierata davanti alla pesante porta in legno massiccio, con l’evidente intenzione di dare il benvenuto alla nuova baronessa. Catherine si era aspettata che Edward la presentasse a tutti, ma dovette fare da sola. Suo marito entrò all’interno senza voltarsi nemmeno a guardarla, quasi si fosse scordato della sua presenza.

Lei deglutì, ma fece buon viso a cattivo gioco. Si dipinse un sorriso tirato sulle labbra screpolate dal freddo e si avviò dietro di lui, i tacchi degli stivaletti che ticchettavano sul pavimento riempendo il silenzio. Attese invano che lui le desse qualche istruzione su cosa si aspettasse da lei e quali sarebbero stati i suoi compiti come signora di Hatfield Park. Lord Glastonbury si limitò a salire le scale che portavano ai piani superiori per dileguarsi dietro a una porta, presumibilmente quella della sua stanza.

Catherine restò di stucco per la sua maleducazione.

Per fortuna la governante, una donna bassa e cicciottella, dall’aria gentile, venne in suo aiuto. «Venite, milady. Per di qua. La vostra stanza è attigua a quella del barone.»

Catherine la ringraziò cordialmente e la seguì, il cuore che sprofondava sempre di più nel petto.

Sarebbe riuscita ad abituarsi alla sua nuova vita?

Lì non conosceva nessuno, a parte Edward. E anche lui era quasi uno sconosciuto, tanto era cambiato dal suo ritorno in patria.

Catherine si sentì completamente sradicata dai suoi affetti e da tutto ciò che le era familiare.

Per lei non si prospettava certo un bel Natale.






Edward ebbe l’impressione che la testa gli stesse per saltare in aria, come il corpo del suo amico Drew sotto i colpi dei cannoni francesi. Edward era stato ferito di striscio alla gamba, cavandosela con una lieve zoppia e il rimpatrio, ma il suo amico non era stato così fortunato. Il suo corpo, o quello che ne rimaneva, era stato sepolto in Spagna: brandelli di carne insanguinata.

Si lasciò cadere sul pavimento duro e freddo della camera da letto.

La sua sposa si aspettava che la raggiungesse per la notte?

Be’, avrebbe atteso invano.

Lui non era dell’umore adatto a consumare il matrimonio. Forse non lo sarebbe stato mai.

Perché si era sposato, dunque?

Una vocina insistente nella sua testa gli strappò una risata amara. Be’, aveva i suoi obblighi verso il casato e tutte quelle sciocchezze che tanto importavano all’aristocrazia inglese. Prima o poi avrebbe dovuto mettere al mondo un erede. Tanto valeva farlo con quella ragazza timida e minuta che gli era stata offerta su un piatto d’argento. La sorella di Victoria.

Ma lui non sarebbe mai più stato lo stesso.

Si rialzò solo per andare a recuperare la bottiglia di whisky che si era fatto portare in camera, e che giaceva solitaria sul tavolino rotondo, di fianco all’enorme letto a baldacchino. L’afferrò con dita tremanti e si scolò buona parte del contenuto.

L’alcol era diventato la sua unica compagna: più seducente di una donna, silenzioso come la notte e caldo e avvolgente come il corpo di una sgualdrina.

Tossì, sputacchiò e tornò a bere di nuovo. Tutto, pur di stordirsi. Di dimenticare ogni cosa.

L’alba lo sorprese all’improvviso. Non si era accorto di essersi addormentato, lungo e disteso sul pavimento, coi vestiti ancora addosso, finché non sbatté le palpebre mentre la luce del giorno gli feriva gli occhi. Ormai non era che l’ombra di se stesso. Aveva perso tutto: il suo amico Drew, Victoria, i sogni di una vita felice… non gli restava che la sua fedele bottiglia, rimasta vuota al suo fianco, sulla nuda pietra.

Sogghignò, cercando di mettersi a sedere. Le gambe gli tremavano, come del resto le mani, ma non voleva chiamare il proprio valletto. Non voleva nessuno.

Si accorse di aver perso la cognizione del tempo. Che ora era? La colazione era già stata servita? E sua moglie si era già alzata?

Sua moglie.

Provava un lieve fastidio a definirla così, ma immaginava che dovesse farsene una ragione.

Con passo malfermo uscì dalla stanza, percorrendo l’intero corridoio fino alle scale. Poi scese dabbasso, con l’intenzione di raggiungere il salottino della colazione, ma si arrestò all’improvviso a metà del cammino. Lady Glastonbury era in piedi su una sedia e stava attaccando un rametto di vischio alla porta. Edward si accorse che aveva addobbato in quel modo buona parte della casa.

«Cosa diavolo state facendo?» L’irritazione lo colse di sorpresa aumentando il suo mal di testa, che non lo aveva abbandonato nemmeno per un secondo.

Lei si voltò di scatto e per poco non ruzzolò giù dalla sedia. Dovette afferrarla con un balzo, stringendo tra le mani la sua vita sottile. La vide tremare un poco e sgranare gli occhi quasi temesse la sua ira.

«Sta-stavo solo mettendo qualche addobbo natalizio» si giustificò. Scese dalla sedia e sollevò il mento per guardarlo dritto negli occhi. «Questa casa è così triste. Sembra che il Natale non debba raggiungerla.»

«E non la raggiungerà. Togliete subito quella roba dalle porte. Noi non festeggeremo il Natale.»

«Ah, no?» La timida Catherine sollevò un sopracciglio. Di colpo assunse un’aria combattiva. «E perché mai?»

«Perché è mio desiderio non farlo.»

Lei si scostò una ciocca di capelli dal viso, sistemandola dietro all’orecchio. Aveva lunghi
capelli neri, intrecciati sulla nuca in un’elaborata acconciatura. Gli occhi invece erano verdi, grandi ed espressivi. Denotavano un’indole caparbia, ma anche un’intelligenza acuta.
«E i miei desideri invece non contano, milord? Voi potete anche seppellirvi vivo, se è quello che volete. Ma io non ho intenzione di farlo. Ho già dato disposizioni alla cuoca per il menù natalizio. In questa casa si festeggerà come ogni anno.»

Edward era allibito.

Quella piccola insolente osava sfidarlo?

Strinse le mani a pugno e si irrigidì. «Be’, dovrete fare tutto senza il mio aiuto, milady. Io non parteciperò ai festeggiamenti, né al pranzo di Natale. Resterò chiuso nella mia stanza.» Si volse verso un valletto che stava sistemando altri addobbi sopra il camino. «Ehi, tu» lo apostrofò, la fronte corrugata in un cipiglio che avrebbe scoraggiato chiunque dal contraddirlo. «Portami dell’altro whisky. Subito.»

Il valletto schizzò via come una scheggia, abbandonando il vischio sul pavimento. Edward ignorò l’occhiata di rimproverò che gli lanciò Catherine e risalì la scala, diretto verso la sua stanza.

Se la sua dolce sposa si aspettava che si unisse a lei nei festeggiamenti, si sbagliava di grosso.

Avrebbe imparato a conoscerlo, col tempo. E a temerlo.






Catherine scattò a sedere sul letto. Era intontita e non riusciva a capire cosa l’avesse svegliata così all’improvviso. Sentì lo sbattere di una porta e dei passi strascicati su per le scale e nel corridoio.

Edward.

Non l’aveva raggiunta neanche quella notte. Come la precedente, si era chiuso in camera a bere. Dopo di che era uscito, incurante del freddo e della neve che scendeva coprendo ogni cosa col suo manto bianco.

Rabbrividì, buttando le gambe giù dal letto.

Forse aveva bisogno del suo aiuto. Doveva essere congelato con quel tempaccio!

Afferrò una vestaglia e se la infilò con gesti affrettati. Poi spalancò la porta comunicante. Nella poca luce scorse Edward accasciato per terra: la camicia stazzonata e mezza sbottonata. Aveva cercato di toglierla, ma le gambe dovevano avergli ceduto prima che riuscisse nell’intento.

«State bene, milord?»

«Tornate a letto.»

Catherine esitò. Disobbedendo rischiava di farlo arrabbiare, ma era evidente che da solo non sarebbe riuscito a svestirsi e probabilmente neanche a mettersi a letto.

«Ma siete completamente fradicio. Perché siete uscito con questo tempo? Vi prenderete un malanno!»

La risata sarcastica che gli uscì dalla gola la infastidì. Edward la fissò coi suoi occhi di ghiaccio. «Siete preoccupata per me, milady? Magari bastasse una nevicata a mettermi fuori combattimento. Non avete idea di quanto avrei voluto perdere la vita in battaglia, insieme ai miei compagni, invece di trovarmi qui, con una sposa che non ho scelto e non desideravo.»

Catherine capì che l’aveva detto di proposito, per ferirla. Nonostante ciò, le sue parole le lacerarono il cuore. «Mi spiace di non essere la donna che volevate e che abbiate vissuto dei momenti terribili in guerra, ma questo non è un motivo valido per desiderare la morte.»

«Ah, no?» Edward inarcò un sopracciglio e cercò di rialzarsi, ma ricadde all’indietro lasciandosi sfuggire un’imprecazione soffocata. «E voi cosa ne sapete di quello che ho passato? Eravate lì mentre i miei uomini cadevano a terra sotto il fuoco nemico? Avete visto i loro corpi martoriati?»

Le lanciò un’occhiata ricolma d’odio e Catherine tremò sotto il suo sguardo. Ma non se ne andò. Al contrario, si chinò su di lui per aiutarlo a rimettersi in piedi. «Avete bisogno di aiuto, anche se siete troppo testardo per chiederlo.»

Lui imprecò di nuovo, ma le permise di dargli una mano. Si appoggiò saldamente a lei e si lasciò guidare fino al letto. Catherine si accorse che era gelato. Le sue mani erano diventate addirittura viola per il freddo patito durante la sua passeggiata notturna.

«Dove pensavate di andare a quest’ora della notte, sotto una tempesta di neve?» chiese senza riuscire a nascondere la propria irritazione.

Edward sorrise sarcastico. «Alla locanda. Dove, se no? Avevo finito il whisky.»

«Continuando a bere in questo modo vi farete solo del male.»

«Tanto a chi importa? A voi, forse? Dite la verità, non sareste felice di rimanere vedova prima del tempo?»

« Non dite sciocchezze!» Catherine si sentì avvampare per la collera. Se solo lui avesse saputo… lei lo amava fin dal primo giorno che lo aveva visto. L’aveva amato in silenzio quando era promesso a sua sorella e anche quando aveva fatto ritorno dalla Spagna, claudicante e con una cicatrice a sfigurargli il volto. Avrebbe dato qualsiasi cosa per un suo sorriso o una parola gentile. Ma non disse nulla di tutto ciò. Si limitò a fissarlo, gli occhi che sprigionavano scintille.

Edward si lasciò cadere sul letto, pallido e stremato. Sembrava aver perduto la volontà di combattere. «Non sono sciocchezze, milady. Che ci fate con uno come me? Un uomo distrutto dal dolore e dal rancore? Cosa vi hanno detto per obbligarvi a diventare la mia sposa?»

Lei arrossì. La voce le uscì flebile e tremula nel momento in cui si accinse a rispondere: «Nessuno mi ha obbligata, milord».

In quel momento si accorse che lui era scosso da violenti tremiti. Stava battendo i denti per il freddo.

Oh, mio Dio!

Stava rischiando il congelamento.

Ignorando il pudore e la vergogna, Catherine si tolse la vestaglia e la camicia da notte e si infilò nel letto insieme a lui. Poi lo aiutò a liberarsi a sua volta dei vestiti bagnati.

«Co-cosa state facendo, per l’amor di Dio?»

«Avete bisogno che qualcuno vi scaldi, milord. Non vi lascerò morire.»

«Siete pazza!»

«No, sono vostra moglie. Anche se fate di tutto per dimenticarlo.»






Edward stentava a crederlo. Il corpo nudo di Catherine premeva contro il suo ed era talmente piacevole percepirne il calore che quasi si lasciò sfuggire un sospiro di beatitudine.

Tutto questo non aveva nulla a che fare con l’attrazione fisica.

Nossignore. Era puro e semplice desiderio di sopravvivenza. Diamine, stava per morire assiderato!

Cercò di convincersi di non provare altro che gratitudine per quella ragazza, ma una voce nella sua testa gli suggeriva di essere cauto. Anche se era sua moglie, Catherine era ancora vergine.

Ingenua.

Illibata.

Non poteva, anzi non doveva metterle le mani addosso. Non in quelle condizioni, per lo meno. Quando il bisogno di un corpo caldo gli annebbiava la mente ancor più dell’alcol che aveva nello stomaco. Strinse i denti, cercando di rilassarsi, e si avvinghiò a lei abbracciandola da dietro.

Il corpo di Catherine era minuto, ma per niente spigoloso come aveva immaginato in un primo momento. Al contrario, era morbido e setoso, e si adattava perfettamente al proprio. Il suo profumo poi… gli stava dando alla testa. No, non era corretto definirlo profumo. Non si trattava di un’essenza. Era l’odore del sapone che si mischiava a quello più acre della sua pelle in una combinazione irresistibile.

Sì, Catherine sapeva di sapone e di donna. Poteva esistere qualcosa di più eccitante?

Edward chiuse gli occhi lasciandosi cullare dalla piacevole sensazione di averla accanto e piano piano lasciò che la stanchezza avesse la meglio su di lui. L’ultimo suo pensiero coerente fu nei confronti della sua sposa: forse non era così male, doveva ammetterlo.






Si svegliò alle prime luci dell’alba, quando i primi timidi raggi di sole filtrarono attraverso le tende. Catherine fece per muoversi, ma qualcosa la tratteneva. Le braccia solide e muscolose di un uomo. All’improvviso ricordò gli eventi della notte trascorsa: Edward che rincasava mezzo congelato e lei che si infilava nuda nel suo letto, per scaldarlo. Le sue guance avvamparono all’istante. Dovette ricordare a se stessa che quell’uomo era suo marito e che non doveva provare vergogna.

All’improvviso lui si mosse nel sonno e le sue mani si posarono a coppa sui suoi seni. Un brivido caldo le scese lungo la schiena, ma rimase ferma. Immobile. Il respiro che si faceva più affrettato.

Cosa doveva fare? Svegliarlo?

Era certa che se avesse saputo che era lei a trovarsi distesa al suo fianco non si sarebbe preso simili libertà. Con ogni probabilità l’avrebbe scacciata in malo modo, ricordandole che lei non era Victoria e che non aveva su di lui alcuna attrattiva.

Eppure, il suo tocco era così piacevole. Catherine lasciò che Edward le sfiorasse i capezzoli coi pollici e trattenne il respiro. Le punte rosee si inturgidirono all’istante e un insolito calore liquido si diffuse nel suo intimo, tra le cosce, in quel punto del suo corpo che non nominava mai per pudore.

Arrossì di nuovo, incerta sul da farsi.

Edward doveva essersi ripreso perché la sua pelle adesso era bollente, il respiro regolare e il membro premeva rigido contro le proprie natiche.

Oh, mio Dio!

Un’esclamazione di stupore le sfuggì dalle labbra dischiuse prima che riuscisse a rimangiarsela. Edward si riscosse, sbatté le palpebre e i suoi occhi grigi si posarono su di lei stupiti.

«Che diamine…» esclamò brusco, ritraendosi da lei. «Cosa ci fate nel mio letto?»

Catherine avrebbe voluto sprofondare per l’imbarazzo. Si tirò su di scatto. «Ecco, io… voi eravate… ieri notte…» Le parole le uscirono confuse e non riuscì a terminare la frase, troppo impegnata a cercare di coprirsi col lenzuolo.

Lui sembrò ricordare all’improvviso. Aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma la richiuse di scatto.

Catherine era sicura di essere talmente rossa in faccia da risultare irriconoscibile. Distolse lo sguardo e si mise a fissare un punto imprecisato sopra il letto. Era affranta. «Mi spiace. Volevo solo aiutarvi… il mio non era un tentativo di sedurvi, milord. Ve lo giuro!»

Edward le voltò il viso obbligandola a guardarlo. I suoi occhi ora erano due pozze scure, impenetrabili come la notte. «Perché l’avete fatto? Tenete così tanto a me? Eppure, dovreste odiarmi. Disprezzarmi…»

«Questo mai!» Catherine capì di non riuscire più a nascondere i propri sentimenti. «Io vi amo, milord. Dal primo momento che vi ho visto. So che non potrò mai sostituire il ricordo di mia sorella nel vostro cuore, ma… darei la vita per un vostro sorriso.»

I suoi occhi ora erano pieni di lacrime. Cercò di scacciarle con un gesto rabbioso della mano e tirò su col naso.

Patetica. Stava diventando patetica.

Ma invece di ridere di lei Edward la studiò serio, un abbozzo di sorriso a incurvargli le labbra. Cielo, era così bello il suo sorriso!

«Mi amate sul serio da tutto questo tempo? Siete una fanciulla estremamente paziente. Mi domando cosa ci troviate in un uomo come me, tormentato dal dolore e dalla rabbia.»

«Non esiste né dolore né rabbia che non si possa dissolvere col tempo.»

Il suo sorriso si allargò, facendole battere forte il cuore. «Siete anche giudiziosa, non solo paziente. E che mi dite del mio volto sfigurato? Non vi fa ribrezzo? Victoria mi disse che non avrebbe potuto sposarmi, anche se non avesse accettato la proposta di Sackville. Non sarebbe riuscita a guardarmi in faccia: la mia cicatrice la terrorizzava.»

Catherine provò vergogna per la superficialità di sua sorella. Allungò una mano a sfiorargli lo zigomo, passando il polpastrello lungo la cicatrice. «Come posso provare ribrezzo per voi, milord? Non chiedo altro che rendervi felice per il resto dei miei giorni.»

Lo sguardo di Edward si fece più tenero. «Anche se vi ho ignorata per anni e vi ho ferita e…»

Catherine annuì con convinzione. «Certo che sì.»

Il dito di lui vagò dal suo mento fino alla curva delle labbra, tracciò una linea invisibile senza distogliere lo sguardo da lei, come assorto. «Siete bella, Catherine. Non me ne ero mai accorto prima; non vi ho mai prestato sufficiente attenzione, in verità.»

Lei si sentì avvampare di nuovo, ma non mosse un solo muscolo. Non voleva rovinare quel momento. Il cuore le stava galoppando veloce contro lo sterno; temeva quasi che lui riuscisse a sentirlo. Poi Edward le afferrò la nuca, attirandola verso di sé, e le coprì la bocca con la sua.

Fuoco.

Catherine ebbe l’impressione di andare a fuoco.

Dischiuse le labbra sotto quella lieve pressione e lui ne approfittò per invaderle la bocca con la lingua, divorandola. Catherine non era mai stata baciata prima e non immaginava che potesse essere così. Si aggrappò alle sue spalle perché la testa aveva cominciato a girarle e temeva di perdere i sensi. Quando lui si staccò da lei si ritrovò senza fiato, ansante.

«Dio mio, Catherine… sei così dolce. Come ho fatto a non notarlo prima? Dovevo essere cieco.»

Il suo cuore perse un battito. «Milord…»

«Chiamami Edward.»

«Edward…»

Le labbra di suo marito cercarono di nuovo le sue. Stavolta fu più dolce, si prese tutto il tempo per accarezzarle le labbra con la lingua, indugiando agli angoli della bocca. Catherine era certa che sarebbe impazzita per il piacere provato. Poi il bacio si interruppe. Edward la guardò fisso negli occhi, serio.

«Ti chiedo scusa se in questi giorni sono stato intrattabile. Non volevo rassegnarmi al mio destino e non mi sono reso conto che stavo punendo te, un’innocente. Ma ti prometto solennemente che cercherò di cambiare. Proverò a far funzionare questo matrimonio e smetterò di bere. Hai la mia parola.»

Catherine sorrise. Non avrebbe potuto sentirsi più felice. «E festeggerai il Natale insieme a me?»

«Il Natale?» Lui esitò, la fronte leggermente corrugata. Poi lasciò andare un sospiro. «Non credo di essere dell’umore adatto ai festeggiamenti, mia cara. Forse più avanti. Quando non avrò più davanti agli occhi gli orrori della guerra e mi sarò gettato tutto alle spalle. Ma non ho nulla in contrario che tu addobbi la casa e organizzi un pranzo natalizio, se è ciò che desideri.»

Non era la risposta che avrebbe desiderato, ma cercò di farsela bastare. C’era tutto il tempo per cambiare le cose. La vita coniugale era fatta di piccoli passi da percorrere insieme, poco alla volta. Gli prese le mani tra le sue e le strinse. «D’accordo, milord. Come desiderate.»

Solo in quel momento si ricordò di essere ancora nuda nel suo letto. Arrossì e tornò a coprirsi col lenzuolo. «E ora, se non vi dispiace, vorrei vestirmi. Ho ancora così tante cose di cui occuparmi!»
Edward le lanciò uno sguardo malizioso. «E sia… per il momento ve lo concedo. Ma ho intenzione di venirvi a trovare questa notte, milady. C’è ancora qualcosa che abbiamo lasciato in sospeso e che desidero chiarire con voi.»

Il suo povero cuore perse un battito. Non c’era bisogno di chiedere cosa avessero lasciato in sospeso; Catherine già lo sapeva. Il barone Glastonbury intendeva diventare suo marito a tutti gli effetti e lei non chiedeva altro.

Forse quel Natale non sarebbe stato così terribile, dopotutto.










L'autrice:

Laura Gaynasce a Genova dove tuttora vive, insieme al marito e a un cagnolino. Ama i libri, il cinema, la musica e gli animali. Scrive da quando era bambina perché solo attraverso la scrittura riesce a esprimere se stessa e a volare con la fantasia. Ha pubblicato vari romanzi e racconti, tra cui Ventunesimo piano, apparso sul numero 5 della rivista Romance Magazine e Il risveglio del Crociato, che è stato inserito nell’antologia 365 storie d’amore, entrambi editi da Delos Books.
Con Delos Digital ha pubblicato Incantevole angelo (collana Passioni Romantiche), Sette giorni e sette notti, Senza Legami, Toccami, L’amante francese, Adorabile bastardo, Una notte indimenticabilee Sexy Girl (collana Senza Sfumature).
Inoltre con Il risveglio dei sensi e Resta con me si è qualificata tra i finalisti nelle rispettive rassegne Rosso fuoco e Senza fiato, sul blog La mia biblioteca romantica.
Ha pubblicato, inoltre, un romanzo stotico/erotico dal titoloLa dama misteriosa, il contemporaneoScandalosi Legami, e il 25 gennaio 2015 sarà online Tutto di te.
Laura collabora anche con i blog La mia biblioteca romantica e Insaziabili Letture, per il quale gestisce una rubrica di consigli di scrittura creativa.
Attualmente è curatrice della collana di racconti erotici Senza Sfumature per conto di Delos Digital.



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Anteprima: "I FENOMENI" di Velia Rizzoli Benfenati.

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Genere: M/M
Editore: Triskell Edizioni
Collana: Rainbow
Pagine:
 124
Prezzo: € 3,99 (ebook)
Uscita:  11 dicembre 2015










Sinossi:

«Federico Franzoni, detto Franz, è così: ricco da far schifo, più brillante di un diamante, simpatico praticamente a tutti e, manco a dirlo, di una bellezza irritante. Io lo odio.»
Siamo a Bologna nel settembre del 1994 e questo è il primo pensiero di Gionata Draghetti quando incontra, il primo giorno di allenamento, un suo compagno di scuola appena tornato dagli Stati Uniti.
Presto però questa opinione cambia, a dispetto di tutto.
Chissà Franz cosa ne pensa di lui…




Anteprima: "LUNA E STELLE" di Zahra Owens

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Genere: M/M, Western
Editore: Dreamspinner Press
Pagine: 247
Prezzo: 
Uscita: 22 Dicembre  2015
Traduttore: KillerQueen









Sinossi:

Dopo una tresca con un procuratore distrettuale sposato che lo ha portato allo scandalo e alla radiazione dall’albo, Cooper Nelson ha lasciato una carriera legale ormai distrutta, trovando conforto nel lavoro al Blue River Ranch. Otto anni dopo, durante una delle rare visite in città, Cooper s’imbatte in Kelly Freed, un uomo che si era lasciato alle spalle quindici anni prima per cominciare a lavorare in uno studio legale. Purtroppo, Kelly è in lizza per diventare sceriffo e sua moglie ha una malattia in fase terminale, quindi far rinascere la loro relazione è fuori questione. Cooper sa per esperienza che nascondere la verità porta a rovinare delle vite, perciò rifiuta di essere l’amante segreto di qualcuno.


Nel frattempo, al Blackwater Ranch, gli eventi hanno preso una piega drammatica. Calley, l’amica di Gable, ha un cancro al seno e, per occuparsi dei suoi figli, lui e Flynn hanno bisogno dell’aiuto degli amici. Cooper e Kelly devono unire i loro talenti per fare in modo che Gable possa essere riconosciuto legalmente come padre dei propri figli e per sistemare gli affari di Calley nel caso in cui la situazione dovesse peggiorare. Restare lontano da Kelly non è mai stato facile per Cooper, e ora che hanno una causa comune, scopre di non poter fare a meno di volere l’uomo accanto a sé.






La serie "Nuvole e pioggia"è al momento così composta:
1 – Nuvole e pioggia
2 – Terra e cielo
4 – LUNA E STELLE




Anteprima: "PREZIOSO" di M.A. Church

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Genere: M/M, Contemporaneo, Fantasy
Editore: Dreamspinner Press
Pagine: 85
Prezzo: 
Uscita: 15 Dicembre  2015
Traduttore: Martina Volpe









Sinossi:

Quando Cupido prende di mira due mortali a Las Vegas, si accendono scintille: al tavolo dei dadi, Randy Jones, un uomo comune in vacanza aziendale, guarda negli occhi di Garrett e il tempo si ferma. Gettando al vento tutto quello in cui crede, Randy si lascia coinvolgere in una relazione sensuale di due notti con l’uomo, solo per entrare nel panico quando capisce di essersene innamorato. 

Il cinico milionario Garrett Shiffler ha tutto quello che i soldi possono comprare, e molti degli uomini che frequenta non vedono oltre il suo denaro. La vita gli ha insegnato che l’innocenza e l’amore sono prodotti dell’immaginazione. Ma quando Randy scompare, portando con sé emozioni che lui pensava non avrebbe mai provato, Garrett intraprende la battaglia più importante della propria vita per vincere il suo amore. Ma questa volta combatte con il cuore, non con il conto in banca. 



La serie "Gli Dei"è al momento così composta:

1 – PREZIOSO
2 – Perfect
3 – Pure






Anteprima: "SERIE HARMONY JOLLY - DICEMBRE 2015".

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In viaggio per amore
di REBECCA WINTERS

Genere: Erotico Contemporaneo
Editore: HarperCollinsItalia
Collana: Jolly - nr. 2630
Prezzo: € 3,20
Disponibile in edicola: 1 Dicembre 2015
Disponibile sullo shop: 18 Novembre 2015




Sinossi:

Non tutti credono all'amore a prima vista. Come definire, allora, quella strana sensazione che prende la bocca dello stomaco quando due sguardi si incrociano e non si lasciano più?

Laura Holden? Noi non ci conosciamo. Mi chiamo Nicholas Valfort, sono il nipote di Maurice, l'uomo che ha rubato il cuore a tua nonna, tanti anni fa. Purtroppo lei non c'è più e le disposizioni testamentarie stabiliscono che per poter riscuotere ciò che lei ti ha lasciato dovrai andare a Nizza, la sua ultima dimora. Sarò io il tuo accompagnatore.

Laura è ancora scossa dalle troppe rivelazioni appena ricevute, e come se non bastasse Nicholas è l'uomo più affascinante che abbia mia visto. Il viaggio da San Francisco a Nizza sarà molto interessante.


Segretaria a sorpresa
di MICHELLE DOUGLAS

Genere: Erotico Contemporaneo
Editore: HarperCollinsItalia
Collana: Jolly - nr. 2631
Prezzo: € 3,20
Disponibile in edicola: 1 Dicembre 2015
Disponibile sullo shop: 18 Novembre 2015




Sinossi:

Amore e lavoro possono andare d'accordo? Certo. Provare per credere!

Adelaide Ramsey sapeva di non avere altra scelta. La sua casa con tutti i possedimenti doveva essere venduta. Flynn Mather ha fatto la miglior offerta e ora l'intera esistenza di Addie è nelle sue mani: lei rimarrà nella tenuta come responsabile delle diverse attività. Ma pare che le novità non finiscano qui. Flynn le ha appena comunicato che deve partire immediatamente per Monaco di Baviera, dove ha un urgente affare in sospeso. La sua segretaria è già in vacanza, quindi l'unica dipendente disponibile è lei. Addie andrai in Europa!




Ritorno milionario
di CARA COLTER

Genere: Erotico Contemporaneo
Editore: HarperCollinsItalia
Collana: Jolly - nr. 2632
Prezzo: € 3,20
Disponibile in edicola: 1 Dicembre 2015
Disponibile sullo shop: 18 Novembre 2015




Sinossi:

Chi lo ha detto che i milionari devono essere sempre solo belli e dannati? Esistono anche quelli romantici e sognatori e ve lo dimostreremo!

Io volevo solo essere una donna in carriera e vivere in un bell'attico a Manhattan. Hanna Merrifield non ha mai sognato altro nella sua vita e ora, invece, è costretta a rivedere tutti i suoi piani. L'azienda di famiglia naviga in cattive acque, tanto che sarà necessario vendere; per questo Hanna deve tornare nel suo piccolo paese natale alle porte della Grande Mela. Ma qui c'è un'altra sorpresa: il suo amore adolescenziale, il bello e dannato Sam Chisholm, pare essere interessato all'acquisto dell'azienda. Ora Sam è un uomo d'affari e non ha tempo per ricordare ciò che era.


Matrimonio a colazione
di KANDY SHEPHERD

Genere: Erotico Contemporaneo
Editore: HarperCollinsItalia
Collana: Jolly - nr. 2633
Prezzo: € 3,20
Disponibile in edicola: 1 Dicembre 2015
Disponibile sullo shop: 18 Novembre 2015




Sinossi:

Abito bianco, musiche soavi di sottofondo, bouquet di fiori d'arancio... Signore e signori il matrimonio è servito!

Gestire una caffetteria con annessa libreria? Lizzie Dumont non potrebbe chiedere di meglio. Ha bisogno di pace e tranquillità e questa sembra essere la soluzione a tutti i suoi problemi. Ogni cosa sembra procedere per il meglio sino a quando non rivede l'uomo che da un po' di mesi popola i suoi sogni più arditi, Jesse Morgan, fratello di suo cognato. La caffetteria ha bisogno degli ultimi ritocchi e Jesse si è offerto di aiutare. Lizzie sa già che questa vicinanza non l'aiuterà certo a rimanere calma e tranquilla. E se assecondasse i suoi istinti? Magari lui capitola e mi chiede di sposarlo.




Recensione + Giveaway: "DISTRUGGIMI" di Chiara Cilli.

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Titolo: Distruggimi
Autore: Chiara Cilli
Serie: Blood Bonds #2
Genere: Dark Contemporaneo
Pagine: 262
Prezzo eBook: € 4.99 (prezzo lancio per la prima settimana € 2.99)
Prezzo cartaceo: € 10.94
Data di pubblicazione: 7 Dicembre 2015






Credevo di essere sopravvissuta all'orrore. Mi sbagliavo.
Credeva di potermi sfuggire. Ma non ha scampo da me.

Non riesco a liberarmi di lui.
Non le permetterò di cacciarmi dalla sua mente.

È nella mia testa, nel mio sangue, nelle mie ossa.
È un mostro che vuole impossessarsi della mia anima e farla a brandelli.

Henri Lamaze è l'incubo di morte da cui non sarò mai in grado di svegliarmi.
Aleksandra Nikolayev è l'ultimo demone che devo sconfiggere.

Questa volta non riuscirò a contrastare il suo veleno.
Questa volta sarò io a non sopravvivere a lei.

È finita.
E non posso accettarlo.



**Attenzione**
Romanzo Dark Contemporaneo
Questo romanzo contiene situazioni inquietanti, scene violente, linguaggio forte e rapporti sessuali di dubbio consenso o non consensuali. Non adatto a persone sensibili al dolore e alla schiavitù.


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PER FESTEGGIARE L'USCITA DI DISTRUGGIMI,
IL PRIMO ROMANZO DELLA SERIE E' IN OFFERTA!



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LEGGI UN PICCOLO ESTRATTO

«Perché lo hai fatto?» sussurrai debolmente. «Tu mi vuoi morta».
Se non fosse stato per il modo impercettibile in cui i suoi pollici disegnavano cerchi concentrici sul mio corpo, avrei creduto si fosse addormentato, tanto tardò a rispondere.
«Voglio che sia per mano mia, non perché ti ho lasciato a terra a congelarti».
Fui grata che non potesse vedere la mia smorfia di dolore e rabbia. «Ti prego» gemetti. «Lasciami andare».
Henri si accoccolò meglio contro di me, solleticandomi il collo con il respiro, d'improvviso teso. «Tu lascia andare me».






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L'autrice:
Nata il 24 Gennaio 1991, Chiara Cilli vive a Pescara. I generi di cui scrive spaziano dall'adult fantasy all'urban fantasy, dall'erotic suspense al dark contemporary. Ama le storie d'amore intense e tragiche, con personaggi oscuri, deviati e complicati.

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Mai titolo fu più azzeccato! Distruggimiprosegue il percorso iniziato con Soffocami, portandolo a un livello addirittura superiore. Soffocami era un romanzo molto fisico tanto che, grazie alle perfette descrizioni create da Chiara Cilli, noi lettori abbiamo sofferto per i soprusi subiti da Aleksandra.
In Distruggimi la componente fisica, pur presente e in certi punti fondamentale, questa volta è un mezzo che Henri e Aleksandra usano per esprimersi. Il loro odio, la loro ricerca di vendetta e, perché no, quella malsana attrazione che in certi momenti trascende il semplice possesso fino a sfiorare una parvenza di sentimento, si sono spostati a livello mentale. La guerra che si svolge nella coppia è fatta di strategie e sensazioni.
Molte sono le pagine in cui i due protagonisti riflettono su se stessi e su come agire.
Henri è arrivato al punto di non ritorno. Per quanto una parte di lui voglia distruggere Aleksandra, l’altra non può più farne a meno. Intossicato dal suo odore e dalla sua presenza, Henri si comporta come un drogato che non riesce a fare a meno della sua dipendenza, del suo bisogno. Aleksandra gli è entrata dentro, profondamente, cambiandolo e lasciando a me, inguaribile romantica, un piccolo spiraglio. Sì, perché io voglio trovare con tutta me stessa qualcosa di positivo in questa storia, soprattutto dopo aver conosciuto meglio il padre di Aleksandra che, lasciatemi dire, fa apparire i Lamaze come bambini. Mai ho trovato personaggio più squallido, insensibile, schifoso e… mi fermo, altrimenti diventerei ben più che scurrile.
Aleksandra esce assolutamente distrutta dallo scontro con il padre che la tratta alla pari di uno stuoino sporco, minandole ogni certezza. Tutto il mondo in cui questa ragazza ha vissuto è falso, quello che Henri le ha raccontato è la sacrosanta verità. Quale dei due è quindi più deprecabile: un padre indegn , pedofilo, violentatore o un uomo che ha subito di tutto e cerca vendetta per tornare a vivere?
Non si può aggiungere altro su questa storia: troppi colpi di scena, cambiamenti, riflessioni che vanno gustati leggendo senza nessuno spoiler. Sappiate solo che il finale, splendidamente aperto, lascia spazio a reazioni opposte e contrarie, dipende dal singolo punto di vista.
Gli altri due fratelli Lamaze fanno le loro apparizioni più o meno importanti. Andrè appare poco e molto violentemente. Non mi è mancato, è il personaggio più distante da me. Armand, invece, anche in poche pagine lascia la sua impronta. Il maggiore dei fratelli Lamaze mi attira, ha profondi segreti che potrebbero rispondere a molte domande sui suoi fratelli e sulla sua famiglia: aspetto fiduciosa.
Seguo la Cilli fin dalla serie MSA e devo dire che con questa trilogia l'ho vista crescere. Lo stile, la storia, i personaggi sono molto più curati, approfonditi e maturi. La Cilli è chiaramente maturata e pare aver trovato la sua vera strada. Nello scrivere questa serie dark, ha dimostrato di saper creare vero pathos, di curare i molti dettagli che caratterizzano questo tipo di storie senza esagerare con la violenza fisica. Ha trovato un giusto equilibrio che rende la lettura particolarmente accattivante, tanto da superare ben più affermate scrittrici straniere.
Il prossimo volume di questa trilogia sarà Uccidimi. Confido che nessuno dei due protagonisti ci lascerà e che l’uccisione sia metaforica: non voglio il cuore spezzato!







 

Anteprima: "INVISIBILE" di David Levithan & Andrea Cremer

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Una magica storia d'amore

Dagli autori bestseller del «New York Times»


Genere: Paranormal YA
Editore: Newton Compton
Pagine: 288
Prezzo: € 4,99 ebook - € 9,90
Uscita:  14 Gennaio 2016
                     







Sinossi:

Stephen è abituato a non essere notato. È nato così. Invisibile. A causa di una maledizione. Elizabeth ha desiderato spesso di essere invisibile. Se la gente non ti vede, nessuno può ferirti. Quando i due si incontrano però, qualcosa cambia per sempre nelle loro vite. Stephen si accorge con stupore che Elizabeth riesce a vederlo, e la ragazza si rende conto che desidera essere vista da Stephen, che non ha paura di mostrarsi a lui. Cosa sta succedendo? Da dove ha origine la maledizione che pesa sulla famiglia di Stephen? All’improvviso i ragazzi si ritrovano catapultati in un mondo segreto popolato da maghi e stregoni, di fronte a una scelta difficile, che mette in gioco il loro amore e le loro vite.



Dagli autori bestseller del «New York Times»

Una magica storia d’amore tra un ragazzo che ha la maledizione di non poter essere visto e l’unica ragazza che può vederlo

«Magia, romanzo d’amore e d’amicizia: la storia e i suoi personaggi mi hanno completamente catturato.» 

«Unisce il realismo magico al romanzo contemporaneo, Invisibile è una meravigliosa storia che parla di cosa si fa per amare davvero qualcuno.»




REGALI "LIBROSI" PER QUESTO NATALE 2015!

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Siete lettori, occasionali o insaziabili?
Oppure, avete amici, compagni, mogli, mariti o parenti di ogni sorta in questa categoria?
Non avete ancora scelto il regalo di Natale? Bene, proviamo a suggerirvi qualcosa.
Sicuramente per chi ama la lettura un buon libro è sempre un regalo gradito, che sia un buono acquisto o un volume vero e proprio sarà sicuramente apprezzato, ma se non volete scadere nella banalità del “classico” vi proponiamo qualche idea utile.

Sappiamo tutti che ci sono lettori “puristi”, quelli che se non hanno il libro tra le mani di leggere non ne vogliono sapere; poi ci sono i lettori tecnologici: tablet, smartphone o reader, ogni supporto è buono al fine ultimo senza discriminazioni; infine ci siamo noi, gli insaziabili, a cui va bene tutto: l’importante è LEGGERE!!! Ma è giusto dare a ogni categoria un aiutino perché a Natale siamo tutti più buoni… Quasi tutti :P


L'INCONFONDIBILE AMORE PER LE TRADIZIONI

Iniziamo con i sempreverdi amanti della carta stampata e vi suggeriamo:

I Segnalibri - ormai ce ne sono di ogni tipo: di metallo, di carta, di plastica e di legno. Personalizzato, con i fumetti, non frasi celebri, con le foto o cuciti a mano. Se lo regalate sarà sicuramente gradito perché un lettore può anche avere 1000 segnalibri, ma quando ne cerca uno non lo ha mai sottomano.


Luce notturna - molti lettori, impegnati durante il giorno, si concedono il piacere della lettura solo di sera, magari a letto, ma quando non si dorme soli avere la camera illuminata fino a notte fonda non concilia il sonno dei poveri malcapitati che non condividono lo stesso hobby e desiderano solo poter riposare. Una piccola luce a led da agganciare alla copertina del libro potrebbe essere un buon compromesso.


Leggilibro tipo spartito o leggio - quando si legge seduti a tavola o su un qualsiasi ripiano orizzontale si ha la tendenza a incurvarsi in avanti. In questa circostanza, e per evitare spiacevoli mal di schiena, il leggio potrebbe essere una buona soluzione. 


Thumbthing – anello per lettori multitasking: questo simpatico gadget rende la lettura più confortevole e consente di tenere il libro con una sola mano. Basta semplicemente infilare la punta del pollice nel Thumbthing e metterlo al centro del libro. Le ali del Thumbthing terranno le pagine perfettamente aperte, anche con libri nuovi o con il vento, consentendo una lettura più confortevole anche con una sola mano e impedendo che la costa e la rilegatura del libro possano rovinarsi. Quando si è finito di leggere, basta infilare le ali del Thumbthing nella parte alta del libro: fungerà da segnalibro.


F.a.q. (Fino a qui) - aiuta a individuare il punto preciso a cui tornare, senza perdere tempo inutile. In definitiva, il migliore amico del lettore smemorato e impaziente!



Se poi non vi va di impazzire gironzolando confusi tra mille negozi, potete acquistare un Kit del lettore che li comprende tutti, costa un po' ma è sfizioso. Lo trovate alla Feltrinelli o anche su ebay!


Poi potremmo spaziare nelle librerie o nelle mensole, il discorso si farebbe interessante ma delicato quindi se siete interessati lasciatemi un commento e provvederò con un altro articolo ;)


 IN LOVE WITH MY EBOOK



Come già vi dicevo, i lettori compulsivi leggono i formati digitali da qualsiasi dispositivo. Tablet, pc o smartphone, per loro non importa, è imperativo leggere!!! Ma lo strumento TOP per eccellenza per questo tipo di lettura è...

L'Ebook Reader!!! Può sembrare un frivolezza ma se dovete fare un regalo "importante" questo oggetto fa al caso vostro (perché costicchia, sappiatelo) e per esperienza personale consiglio quelli con la luce integrata, altrimenti il vostro lettore dovrà comprare una luce al led usb  per colmare la lacuna. 


Se poi la persona in oggetto ha già un reader senza luce integrata quella della luce aggiuntiva potrebbe essere una buona opzione da regalare, come per i cartacei.

Altra idea carina per i possessori di Reader potrebbe essere il supporto. Regolabile o da tavolo, anche in questo caso che ne sono a bizzeffe (Qui ne trovate di svariati modelli).

Altro elemento indispensabile è la custodia per il reader, che garantisce protezione in borsa o comunque dai piccoli incidenti quotidiani. Anche qui c'è una svariata possibilità di scelta sia nei colori che nei materiali, ovviamente anche di prezzo.

Le batterie del reader durano tantissimo, ma in caso di necessità si può recuperare la situazione con una batteria ricaricabile esterna, come quella dei cellulari. Confrontando la compatibilità tra i due strumenti si può assicurare al lettore una ricarica costante in ogni situazione.



Spero di esservi stata utile e che vi abbia dato qualche buon suggerimento, per qualsiasi domanda sono a disposizione. Buoni regali a tutti ^_^


Romantic Xmas: "IL DONO" di Angela D'Angelo.

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Ci sarebbero stati molti modi per augurarvi il buongiorno e per chiudere questa seconda settimana d'avvento, ma il racconto scritto per la rassegna Romantic Xmas 2015 dalla nostra ANGELA D'ANGELO mi sembrava il più appropriato. Per voi una dolcissima storia d'amore e di camici bianchi: IL DONO!

Buona lettura!
 


Dicembre era il suo mese preferito. Il cielo sembrava più terso e pulito, e per Alice la leggera foschia che alle sette del mattino avvolgeva Napoli aveva qualcosa di romantico. Prima del completo sorgere del sole, solo quel poco di umidità ricreava la sua adorata atmosfera magica.
Peccato che a essa non si accompagnasse il silenzio!
All'ospedale pediatrico presso cui svolgeva il tirocinio c'era un continuo via vai di medici e infermiere, di piccoli pazienti urlanti e genitori isterici.
Diede un altro tiro alla sigaretta, cercando di non sentirsi una criminale, e la spense quando ne restava ancora intatta la metà, prima di buttarla in un cestino. Una piccola vittoria nella sua battaglia contro quel vizio.
Si sistemò meglio lo zaino in spalla e si diresse alla guardiola per firmare il registro su cui erano annotate le entrate e le uscite, la testa assorta in mille pensieri. Fu per questo che non si accorse che davanti a lei c'era Davide Fiore, ed era strano, di solito lo notava sempre. Andò a sbattergli contro e, quando la afferrò per le spalle, le mancò il fiato.
«Sempre persa nel paese delle meraviglie» la salutò con un sorriso che le fece desiderare di sparire sottoterra. Perché, insomma, lei non era timida, ma quando il dottor Fiore, specializzando in pediatria, metteva in mostra quella fila di denti bianchi e dritti, Alice abbandonava Wonderland e si ritrovava in Hotland, un luogo pieno di fantasie lussuriose e proibite.
Si tirò indietro bruscamente, con il fiato corto e le guance che iniziavano a scaldarsi per l’imbarazzo. Dannazione a lui!
«Una piccola donna non può nulla contro una montagna priva di grazia» si difese, ma sembrò più un attacco. Strategia sbagliata! Il sorriso di Davide divenne ancora più ampio, al punto da farle dubitare che i denti fossero solo trentadue.
«La tua lingua compensa bene i centimetri in meno» la prese in giro prontamente, e Alice pensò che entro pochi secondi le sarebbe uscito il fumo dalle orecchie.
Lo superò senza degnarlo di una risposta e andò ad autografare quel dannato registro, cercando di non strappare il foglio con l’impronta troppo decisa della penna.
Oh, lo odiava, come si poteva odiare solo l'oggetto dei propri desideri. Un diabetico può anche sbavare davanti a una sfogliatella calda, ma sa benissimo che innalzerebbe la glicemia oltre i normali valori di cut-off... Cazzo, era messa male se pensava all'esame di patologia!
Sbuffò ed entrò nella struttura, senza fermarsi a salutare nessuno finché non raggiunse lo spogliatoio. Mentre si sfilava il cappellino di lana con i pon pon, guardò con antipatia lo zaino di Davide sulla panca di fronte, quasi fosse il proprietario in persona, con i suoi capelli biondo cenere e gli occhi grigi.
Sfilò velocemente il cappottino nero e indossò il camice, poi andò a cercare la caporeparto, Antonella, un'infermiera tonda come un barilotto e incredibilmente disponibile, dote che non tutti i colleghi conservavano negli anni. Sperava anche lei di non perdere mai lo spirito con cui si era iscritta alla facoltà di infermieristica, aveva sempre voluto aiutare il prossimo senza che nell'equazione entrasse troppo sangue.
L'assegnazione al Santobono? Una botta di culo unita alla media alta. Eh sì, lei era una secchiona. Non del tipo topo da biblioteca, ma di quello che al corso tutti odiavano: sabato sera in disco e la domenica a studiare come se non si fosse ritirata alle cinque del mattino. Ma lo schema aveva le sue imperfezioni e quando crollava i suoi genitori erano costretti a fronteggiare una ventitreenne isterica e litigiosa. Era lo scotto che le faceva pagare il suo fisico.
«Si batte la fiacca?» chiese, entrando nella saletta in cui le infermiere si rifocillavano. Nel tempo avevano allestito un vero e proprio bar con tanto di moka, fuoco da campo e microonde.
Antonella la guardò male, e ne aveva tutte le ragioni. Il suo turno era appena finito.
«Attacco di vomito alle tre, pianto disperato alle quattro, bambino terrorizzato dalle punture a ore cinque, e la ragazzina mi accusa di perdere tempo!» esclamò la donna, rivolgendosi a un collega che si trastullava con un bicchierino di plastica.
Alice le rivolse un sorriso impertinente, poi si preparò il caffè.
«Gennarino ha fatto ancora storie per la flebo?» chiese, mentre segnava su un foglio una crocetta in corrispondenza del suo nome. Alla fine del mese ognuno avrebbe contato le cialde utilizzate e pagato i propri caffè.
«Ho dovuto sostituirgli il catetere. Ne ho visti di bambini iperattivi, ma lui li batte tutti» si lamentò la caporeparto.
Gennaro Caputo, anni sette, aveva deciso di rendere la vita impossibile a medici e infermieri, la sua piccola vendetta per il ricovero forzato. Ad Alice non dispiaceva: se il bimbo aveva voglia di giocare era un buon segno.
«Da dove inizio oggi?» chiese appena la caffeina raggiunse lo stomaco e le accese il cervello.
«Controlla la flebo di antibiotici di Gennaro e aspetta il medico per il prelievo a Sandrino» le indicò Antonella. «Per il resto rivolgiti a Michela, io per oggi ho concluso» aggiunse con uno sbadiglio.
Alice scimmiottò un saluto militare e raggiunse la stanza dei due bambini.
La giovane nonna di Gennaro era seduta su una poltrona con una rivista, Sandrino invece non aveva compagnia. Sua madre era a lavoro e sarebbe arrivata solo dopo pranzo. Questo doveva essere uno dei momenti in cui essere una ragazza madre faceva schifo.
«Buongiorno, bimbi! Possibile cha quando non ci sono fate disperare Antonella?» chiese, la voce allegra.
Gennarino sussultò, l'espressione che si apriva in un sorriso contento. Cristo santo, quel bimbo la metteva in ginocchio.
«Quella non voleva chiamarti!» si giustificò il piccolo.
«Quella ha un nome!» intervenne la nonna con uno sbuffo esasperato, poi le indirizzò un sorriso stanco che Alice ricambiò. La poltrona non doveva essere per nulla comoda.
«Ti dispiace se mi allontano un attimo? Ho bisogno di un caffè prima che mia figlia venga a darmi il cambio.»
Ehi, chi era lei per mettersi tra una donna e il suo caffè?
«Ristretto, mi raccomando. Quello normale è pessimo al bar di sotto» le suggerì, facendole l'occhiolino. Le labbra della donna si incresparono appena, prima che scappasse dalla stanza.
«Wow, ti sei proprio dato da fare se tua nonna non vede l'ora di prendersi una boccata d'aria» commentò.
Gennaro mostrò le gengive nella sua particolare versione di un sorriso senza gli incisivi.
«Non vuole portarmi a casa!»
Alice strinse i denti e si costrinse a sorridere. «Finché non starai bene, non puoi andare da nessuna parte. Se la nonna ti porta a casa e non sei guarito del tutto, poi devi tornare in ospedale» gli spiegò mentre armeggiava con la flebo, che era terminata, e toglieva l'ago dal catetere. Gennaro non protestò alla pratica, che in seguito all'intervento di appendicite era diventata una consuetudine. La ferita si era infettata e invece di una settimana si trovava lì da quindici giorni.
«A casa non ci sei tu» disse il bambino dopo un attimo di ragionamento.
Alice scoppiò a ridere. «Mi stai corteggiando?»
«Io non corteggio le femmine!» dichiarò, oltraggiato.
«Le donne, Genny. È brutto dire femmine. Sono intelligenti quanto te, sai?»
«Mamma dice che le donne devono essere trattate come principesse» si intromise Sandrino, un cucciolotto di cinque anni imbottito di diazepam a causa delle convulsioni.
«Finalmente sento qualcosa di ragionevole! Impara da lui, Gennaro.»
«Ma se è più piccolo!» obiettò il teppista sdentato.
«Io sono un ometto» insorse Sandrino, che nel suo pigiama con gli orsetti sembrava averne tre di anni.
«Ehi, ehi. Ora basta!» li interruppe Alice. Si avvicinò al letto di Sandrino e lo prese in braccio per farlo scendere, poi lo accompagnò in bagno.
Lasciò la porta aperta in modo da controllare anche Gennaro e concedere al più piccolo l'illusione di avere un po’ di privacy.
«Avvisami quando hai finto» gli disse, mentre batteva un piede sul pavimento.
«Ho finito.»
Alice represse una risata e scosse la testa. «Non ho sentito il rumore della pipì.»
«Non mi viene, se mi guardi» piagnucolò Sandro, desolato.
«Muoviti, altrimenti staremo qui tutto il giorno.» Odiava fare la voce grossa, in particolare con quei due bambini. Oh, era una bugia, le piacevano tutti, anche quelli pustolosi e che le vomitavano addosso.
Gennaro si mise a ridere e Alice gli fece cenno di tacere. Poco dopo, sentì il rumore dello sciacquone e quello dell’acqua del rubinetto. Il moccioso si era lavato anche le mani. Era impressionata!
«Ho finito… davvero!» annunciò Sandrino uscendo dal bagno, rosso come un pomodoro. E non solo per la febbre.
«Ora aspettiamo il dottore per il prelievo» disse afferrandolo per la mano.
«Quale dottore?» chiese il bambino mentre lo issava sul letto.
«Quello bello» rispose Gennaro e alle sue parole seguì una risata calda che la fece arrossire quasi quanto Sandrino. Si irrigidì tutta e si schiarì la voce, prima di voltarsi.
«Il dottor Fiore non ha bisogno di altri complimenti per montarsi la testa» borbottò, guardando Davide, i cui occhi grigi brillavano di divertimento.
«Quanto astio! Sicura di aver preso il caffè?» le rispose il dottore, quello bello. Che ne sapeva lui del suo carburante preferito?
Alice si trattenne dal ringhiare, e anche dall’aggiustarsi i capelli. La sola presenza di Davide la faceva sentire sciatta e disordinata. Lui era… perfetto, non c’era altro termine per descriverlo. E non solo perché faceva sospirare metà delle infermiere e tutte le bambine, ma soprattutto perché era un buon medico e, a detta di tutti, una brava persona. Be’, lei aveva deciso di trovargli ogni sorta di difetto per compensare, e a stento gli rivolgeva la parola, anche quando se lo ritrovava sempre tra i piedi.
«Sto benissimo, grazie» gli rispose, il tono arcigno. «Ti vuoi dare una mossa con il prelievo? Ho anche altro da fare questa mattina.»
«Non voglio!» strillò Sandrino e ad Alice sfuggì un’imprecazione a denti stretti. Bel modo di comunicare a un bambino che gli avrebbero fatto l’ennesimo livido sul braccio.
Il sorriso di Davide vacillò, poi si avvicinò al letto senza guardarla e si sedette accanto al piccolo, che aveva le ginocchia al petto e gli occhi terrorizzati.
Dio, era una deficiente!
«Ti prometto che non sentirai dolore» lo tranquillizzò Davide, scompigliandogli i capelli con tenerezza. Alice deglutì un groppo alla gola, non era da lei quella mancanza di tatto. Non riuscì a dire nulla e attese indicazioni.
«Guarda cosa ho per te» continuò Davide, tirando fuori dalla tasca una barretta di cioccolato. Il bambino si sporse per guardare meglio e il suo viso perse un po’ della rigidità dovuta alla paura. «Però non puoi mangiarla prima del prelievo» lo ammonì, tendendola al piccolo paziente.
«Altrimenti salgono i valori di glucolo» disse Sandrino con la voce sottile e il dottore scoppiò a ridere.
«Glucosio» lo corresse Davide, pizzicandogli il naso. «E ora togliamoci il pensiero, prima che la barretta si sciolga.»
Alice si affrettò a prendere l’occorrente, cercando di mascherare la vergogna con l’efficienza. Davide riempì le provette e, quando sciolse il laccio emostatico, si preoccupò di massaggiare il braccio del bambino, che aveva trattenuto le lacrime per tutto il tempo.
«Ora puoi mangiarla» disse il dottore, indicando la barretta che il bimbo aveva stretto come un amuleto.
«E io?» chiese Gennaro, che non si era perso nemmeno un secondo di quella scena. Davide tirò fuori dalla tasca una caramella e gliela lanciò.
«Solo una caramella?» mormorò il bambino.
«Sandro si è comportato bene, invece tu hai quasi svegliato mezzo reparto questa notte» lo rimproverò, ma non c’era traccia di severità nella sua voce. Alice, che in quel momento avrebbe preferito andarsi a nascondere nello spogliatoio, dovette ammettere che il dottore ci sapeva fare. Era magnifico con i bimbi.
«Volevo solo tornare a casa» replicò Gennaro, abbassando le spalle e mostrando per la prima volta tutta l’ingenuità dei suoi sette anni. «Se viene Babbo Natale e non mi trova?» aggiunse poi.
Alice trasalì, il cuore stretto per la pena, e sentì gli occhi pungere.
«V-vado a portare i campioni in laboratorio» balbettò, prima di spingere il carrello fuori dalla stanza in tutta fretta, senza nemmeno salutare i bimbi.
Uscì nel corridoio e si appoggiò alla parete. Una lacrima le rigò il viso e respirò a fondo.
Si sentiva un’egoista e anche un elefante privo di sensibilità. Era il quindici dicembre e invece di rendere più sopportabile i giorni di quei poveri bambini, si lasciava trasportare dall’ostilità per un ragazzo che aveva l’unico difetto di piacerle troppo.
Chiuse gli occhi e provò a ricordare che nel suo lavoro bisognava essere più impermeabili, come diceva Antonella, ma come dimenticare lo sguardo atterrito di Sandrino o il tono triste di Gennaro?
Un palmo gentile si posò sulla sua guancia e Alice sussultò, sbarrando gli occhi.
«Non farti vedere così da loro» le suggerì Davide, mentre le asciugava una lacrima con il pollice. Il cuore mancò un battito e il respiro le si mozzò.
«Hanno bisogno di leggerezza e tu sei la loro infermiera preferita.»
Deglutì a vuoto un paio di volte per scacciare la morsa che le stringeva la gola. «Mi dispiace» si scusò, talmente indebolita dell’emozione di averlo vicino da non riuscire a nascondersi dietro qualche battuta pungente.
Davide le sorrise, un sorriso tenero e bellissimo che le ricordò perché doveva stargli lontano. Quell’espressione dolce la voleva tutta per sé, come gran parte delle sue colleghe, e questo era abbastanza da scoraggiarla.
Il dottore le prese la mano e la trascinò nello sgabuzzino in cui tenevano i medicamenti. Alice lo seguì, sorpresa dalla propria arrendevolezza e troppo stordita per protestare.
«Davide…» iniziò, ma le labbra di Davide si posarono sulle sue e le parole si persero nella sua bocca. La circondò con un braccio e la premette contro di sé. Alice alzò le mani per respingerlo, no, per trattenerlo. Strinse la stoffa ruvida del suo camice tra le dita e si alzò sulle punte per ricambiare quel bacio. Fu una pressione sufficiente a farle desiderare di più, ma Davide si scostò prima che le loro lingue potessero intrecciarsi.
«Per questo mi piaci, perché ti dispiace» le spiegò lui, il tono roco. La fissò come se volesse imprimersi la sua espressione nella mente, poi la lasciò da sola nella stanza, con il cuore a mille e le gambe tremanti.
Dio, non poteva innamorarsi di lui, si disse mentre si appoggiava a uno scaffale di metallo. Doveva dimenticare quel bacio ed evitare che il ricordo le si imprimesse nel cuore.
Sperava solo che non fosse troppo tardi.


«Questo dove lo metto?» chiese Gennaro, sollevando una stella da uno scatolone.
«Dove vuoi, tesoro» lo incoraggiò Alice, che a stento riusciva a guardare l'alberello oltre la testa ricoperta di boccoli biondi di Sara. La bambina era ferocemente attaccata al suo collo e non dava segni di volersi unire agli altri. Per fortuna, Alice era riuscita a mettere le lucine prima che quell'amorevole piovra decidesse di catturarla.
«Alice, questo lo voglio mettere lì» decise Sandrino, «ma non ci arrivo!» protestò, rimirando l'angioletto di plastica che non trovava collocazione da buoni cinque minuti.
«Non puoi scegliere un altro ramo?» gemette. Non aveva idea di come aiutarlo senza provocare una crisi di pianto in Sara.
«Ci penso io.»
Alice si irrigidì tutta e si rifiutò di voltare la testa verso la porta della saletta adibita a stanza dei giochi per i bambini a cui si prospettava una lunga degenza.
«Mancava solo il cavaliere dalla scintillante armatura» borbottò, nascondendo il viso tra i capelli della bambina.
«Che cos'è un'armatura?» chiese Sara con la sua vocetta stridula e infantile.
Alice trattenne un gemito di disappunto. Quando avrebbe imparato a stare zitta? I bambini non avevano la misura di cosa andava ripetuto e cosa no.
«È una divisa che indossano i cavalieri per far colpo sulle principesse» rispose Davide, con un tono malizioso che la fece arrossire.
Non guardarlo, si impose. Ma l'aspirante pediatra si avvicinò a lei per scompigliare i riccioli alla bimba e il suo profumo la stordì abbastanza da farle alzare il viso per rintracciarne la fonte.
Cristo, è sempre stato così bello?
«Tutta fatica sprecata, qui non ci sono principesse» si affrettò a dire. Il ragazzo le sorrise con l'aria di chi la sapeva lunga e le voltò le spalle per aiutare Sandrino.
Alice sbatté le palpebre, confusa. Quei denti avevano qualcosa di innaturale. Come avrebbe fatto a ignorarlo se non riusciva a smettere di guardargli la bocca?
Be', non era l'unica cosa che guardò nella mezz'ora successiva. Il dolce fardello che aveva tra le braccia le lasciò solo la possibilità di dirigere i lavori di allestimento dell'albero di Natale. Davide seguiva tutte le sue indicazioni e comandava le truppe di bambini febbricitanti e pustolosi in modo ammirabile.
Alice incontrò qualche difficoltà a non ricambiare i suoi sorrisi, trattenendoli fino al momento in cui il bel medico si distraeva e poteva lasciarsi andare. Era stupendo in mezzo ai piccoli pazienti, e il modo in cui interagiva con loro e riusciva a farli sentire speciali le scioglieva il cuore.
Wow, era cotta, completamente e irrimediabilmente andata.
«Genny, smettila di spostare gli addobbi che ha appeso Gabriele» disse Alice, riprendendo la peste che aveva abbandonato i modi civili e iniziava ad agitarsi.
«No!» urlò il bimbo. Quando si trovava in mezzo ai coetanei, Gennaro regrediva di almeno un paio d'anni. Per rafforzare il concetto le tirò addosso una palla di Natale.
Prima che potesse richiamarlo per il comportamento villano, Davide lo sollevò da terra. L'atmosfera cambiò nello spazio di un secondo.
«Chiedi scusa ad Alice» gli ordinò il dottore. Il piccolo non rideva più e l'espressione di Davide era così severa che lei ebbe pena del bambino.
«Non è impor...»
«Gennaro!»
Una sola parola e il teppista voltò il viso verso di lei con una espressione mortificata che la colpì.
«Scusa, Alice» mormorò, poi Davide lo riappoggiò a terra e indicò agli altri di continuare, ma senza sorridere.
Alice era ammutolita, e anche se il suo cuore tenero avrebbe tollerato, sapeva che il medico si era comportato bene. Si augurò solo che non guardasse mai lei in quel modo, probabilmente avrebbe avuto meno coraggio di Gennaro e si sarebbe messa a piangere.
«Perché sei arrabbiato?» chiese Sandrino a Davide, tirandogli il camice per farsi notare. In effetti, lo separava quasi un metro dal bel viso del pediatra.
«Non sono arrabbiato» lo rassicurò il ragazzo, facendogli l'occhiolino. Alice non riuscì a trattenersi e sospirò. Era estasiata. Per un occhiolino. Roba da matti!
«Hai fatto bene a difendere Alice» approvò il nanetto galante, quello con la madre single che lo stava educando al rispetto per le donne.
«Le principesse vanno sempre protette» rincarò Davide, indirizzandole uno sguardo che avrebbe fuso l'oro.
Alice sorrise divertita, conquistata da quel modo adorabile di provarci con lei. Il ragazzo se ne accorse e le si avvicinò, le labbra piegate in un ghigno malizioso. Cazzo, si era fatta scoprire!
«La prendo io, sei stanca» disse allungando le braccia verso Sara. La bambina si era assopita e non protestò quando Davide se la adagiò sul petto.
Il movimento li avvicinò e il suo cuore iniziò a battere in tonfi sordi e pesanti nel petto. Era sopraffatta dalla presenza di lui, dai mille piccoli gesti che nell'ultima mezz'ora avevano abbattuto una dopo l'altra le sue difese.
«Non puoi rimangiarteli, sai?» le sussurrò Davide. Erano divisi solo dal corpicino di Sara, e non era abbastanza per evitarle di percepire il suo calore.
«Cosa?» chiese turbata, gli occhi fissi in quelli grigi e magnetici di Davide.
«Tutti quei sorrisi.» La voce del ragazzo era dolce come il miele e calda come le fiamme dell'inferno. «L'ultimo mi ha messo K.O., ringrazia che intorno a noi c'è una mezza dozzina di bimbi.»
Alice arrossì. Non le era mai capitato di sentirsi in imbarazzo prima che nella sua vita piombasse il dottor Fiore con il suo fisico da paura, quei denti abbacinanti e quella tenerezza che incantava i bimbi e aveva vinto lei.
«Non montarti, Fiore, è solo il Natale» sussurrò, la voce roca, lo stomaco stretto in una morsa di piacere.
Davide scoppiò a ridere e le indirizzò uno sguardo carico di promesse. «Continua a scappare, la tua resa sarà ancora più dolce.»



Alice aveva sempre associato il Natale alla vita. Non una vita indolente e pigra, ma  concitata, brillante, allegra. In ospedale la gioia si faceva spazio a fatica tra tormenti e affanni, eppure non periva sotto i colpi di una depressione indotta dal dolore e dall'isolamento, era nascosta nella risata di un bambino, nel sorriso stanco di un parente, nei cenni d’intesa dei colleghi... bisognava solo scovarla. Da parte sua, poteva dire di essersi davvero impegnata per portare il Natale in reparto. Aveva dato il via alla sua missione il primo dicembre. Dapprima aveva iniziato a fischiettare a bocca chiusa le canzoni tradizionali alla presenza di medici e infermieri, mentre raccoglieva appunti o eseguiva i suoi compiti giornalieri. Il messaggio subliminale era rimbalzato da bocca a bocca, tanto che aveva beccato Antonella a canticchiare "Deck the Halls".
In seguito aveva lasciato, casualmente, dei volantini che pubblicizzavano mercatini natalizi, eventi in grandi centri commerciali, spunti per idee regalo. Il dottor Grimaldi era capitolato per primo e la seconda domenica del mese aveva visitato con i figli il Villaggio di Babbo Natale. Alice era stata lieta di costatare che il lunedì l’uomo sorrideva di più e Gennaro le aveva spifferato che il medico aveva distribuito cioccolatini sottobanco.
Il terzo punto della missione l'aveva denominato "strappare un sorriso". In quel caso, aveva attinto ai metodi dei piccoli pazienti. Certo, non si era messa a disegnare per i grandi – non ne aveva il tempo – ma ora ogni infermiera aveva l'origami di un alberello natalizio.
Appena il morale era stato più alto, si era lanciata in progetti più importanti come la decorazione delle stanze e l'allestimento dell'albero... fino a quella sera.
Era il 24 di dicembre e i bimbi avevano la loro vigilia di Natale!
Avvolti in pigiami e vestagliette, i mocciosi facevano la fila per una scodella di brodo e un pacchetto di cracker. Poco importava che non potessero abbuffarsi di Nutella e mascarpone: avevano l'albero, il presepe e le canzoni in "inglish" da storpiare a loro piacimento. Loro sì che riuscivano a trovare la felicità in ogni cosa.
Alice attingeva da quell'entusiasmo a piene mani, raccogliendolo nelle stanze del proprio cuore e conservandolo per i momenti tristi.
E non era l'unica. Aveva appena distribuito i cappellini da Babbo Natale e i cerchietti con le corna di renna, quando alla festicciola si era imbucato Davide Fiore.
Non aveva neanche pensato che potesse farsi assegnare il turno quella sera. Non aveva amici con cui festeggiare?
Eh no, Davide non ne sbagliava una, era sempre all’altezza delle più rosee aspettative, sempre giusto e perfetto. Be’, a lei la perfezione faceva paura, non la capiva e ne prendeva le distanze. Era facile fermarsi a un bell’involucro, se invece si fosse permessa di conoscerlo meglio, se ne avesse scovato i difetti, analizzato le ombre, allora sarebbe stato un uomo in carne e ossa, e lei non avrebbe più potuto fingere che non le batteva il cuore quando lo vedeva, che non sognava di lui più spesso di quanto le piacesse ammettere.
Davide Fiore doveva rimanere un sogno, uno troppo inverosimile per poter solo pensare di realizzarlo.
«Ali, perché non giochi con noi?» chiese Gennaro, gli occhi lucidi per la febbre. La ferita infetta non voleva saperne di guarire.
Alice gli accarezzò la guancia, cercando di sorridere anche se la pelle del bimbo scottava. Ancora un’ora e gli avrebbe attaccato la flebo.
«Mi sono presa una pausa» lo rassicurò, poi gli allungò una mano e si fece trascinare in mezzo al gruppo di bambini che circondava Davide.
Il ragazzo stava raccontando “Canto di Natale” di Charles Dickens e si faceva aiutare dai piccini ora per rappresentare il fantasma, ora il vecchio Scrooge.
«C’è spazio per me?» chiese alla platea sovraeccitata.
Davide si interruppe e le sorrise, spostandosi per farle posto accanto a lui sulla panca.
Non poteva fingere di non aver notato il gesto. Rassegnata, si sedette vicino a lui e subito si sentì più calda e… felice.
«Il fantasma del Natale passato lasciò Scrooge da solo» riprese lo specializzando, «e il vecchio fu raggiunto dal… ?»
Un coro di voci esplose nelle parole “fantasma del Natale presente”, declinato nelle varie versioni di chi non riusciva a pronunciare la erre e chi faceva sibilare la essetra i denti mancanti.
Davide scoppiò a ridere, con quella sua voce calda e pulita che avrebbe ammansito anche una tigre inferocita, e Alice si affrettò a distogliere lo sguardo dal suo viso, dirigendolo su quello dei bambini. Mossa sbagliata, le loro espressioni felici e fiduciose, benché guastate dagli incarnati pallidi e le occhiaie grigiastre, le mozzarono il fiato.
Rapida la commozione le strinse la gola in un nodo e non riuscì a evitare che il mento le tremasse. Cercò gli occhi di Davide in una richiesta di aiuto e, prima che potesse rendersene conto, si trovò stretta a lui, circondata dal suo braccio e con la guancia contro la sua spalla.
Abbassò il volto, in modo che i capelli cadessero a nascondere le lacrime.
«Oooh!» esclamarono i bambini, sorpresi da quel gesto almeno quanto lei.
Davide le accarezzò la schiena in un modo confortante che tuttavia le fece battere il cuore neanche si trattasse del più intimo e lussurioso degli sfioramenti.
«Ha freddo, la sto solo riscaldando» affermò il ragazzo, attirando l’attenzione su di sé. L’ironia nella sua voce poteva sfuggire ai bimbi, ma non lei. E dire che l’aveva ammonita altre volte di trattenersi davanti ai pazienti.
«Secondo me a te ti piace» esordì Gennaro.
«Non si dice “a te ti”» lo corresse Sandrino, che per un vizio di forma non era potuto tornare a casa quella mattina, anche se era completamente ristabilito.
Alice gemette per l’imbarazzo ma Davide, invece di lasciarla andare, la strinse ancora di più. Lei divenne improvvisamente consapevole di quanto fossero vicini e fu sopraffatta dal suo profumo, stordita dal ritmo martellante del suo cuore.
Batte così forte per me?
«Alice piace a tutti, vero?» chiese il dottore e il coro di “sììì” rischiò quasi di strapparle un singhiozzo. Dio, non poteva permettersi di frignare!
«Va’ avanti. Hanno bisogno di ascoltare la tua storia, ne ho bisogno anch’io» mormorò Alice, le labbra contro il collo del dottore.
Davide si irrigidì e per un attimo il suo abbraccio divenne così serrato da provocarle dolore. Poi, riprese a raccontare di viaggi nel tempo e fantasmi.
Alice si staccò da lui e sorrise ai cucciolotti, abbastanza distratti dalla storia da non commentare oltre quel momento, ma non aveva voglia di partecipare al racconto, e Davide non glielo chiese. Sembrava sapere istintivamente che era turbata. E probabilmente sapeva anche di esserne la causa.


Quando i bambini si dispersero per giocare, Alice ne approfittò per una fuga.
Passò dallo spogliatoio, prese la sciarpa e il pacchetto di sigarette e raggiunse la scala antincendio.
Cavolo se fa freddo!, ragionò quando fu colpita dall'umidità. Si sedette su uno scalino di ferro e sibilò mentre il gelo superava il tessuto spesso dei jeans e la feceva rabbrividire. Si sarebbe adeguata! Aveva le guance accaldate e il cervello stava bollendo per la rapidità con cui elaborava pensieri e immagini.
Scartò il pacchetto di Marlboro ma non lo aprì. Erano quasi cinque giorni che non toccava una sigaretta e il bisogno di nicotina le faceva tremare le mani.
Un segno che quello che credeva un passatempo si era trasformato in una dipendenza.
Storse la bocca in un’espressione disgustata. Lei era più forte di così, più forte delle emozioni che l’avevano sconvolta. E non parlava del dispiacere per dei bimbi malati e costretti in ospedale la notte di Natale, chiunque con un briciolo di cuore avrebbe ceduto alla commozione. Ciò che la turbava davvero era l'effetto che Davide aveva su di lei. Si sentiva impacciata, elettrizzata e completamente affascinata. Fin quando non c'erano stati contatti tra loro, era riuscita a nascondere bene i sentimenti conflittuali che nutriva per lui, ma dopo il bacio di dieci giorni prima? Aveva combattuto una battaglia persa in partenza contro il batticuore e le farfalle che le svolazzavano nello stomaco, incuranti che dicembre non era il periodo per darsi alla pazza gioia.
«Hai intenzione di fumare?»
Alice sussultò e il cuore le diede un balzo nel petto. Non aveva visto arrivare Davide, troppo persa a contemplare le linee rosse e bianche del pacchetto di sigarette e a macerarsi al pensiero che... si era innamorata di lui?
«Non ti riguarda» sbottò, alzando il viso per guardarlo negli occhi. Era emozionata? Sì. Sarebbe voluta scappare? Sicuro. Ma non poteva farlo per sempre, tanto valeva sfidare quelle pozze grigie e bellissime che brillavano alla luce dei lampioni arancioni.
«Allora?» le chiese ancora lui, come se non gli avesse risposto.
«No!» esclamò, alzando gli occhi al cielo. «Oggi no» si sentì in dovere di specificare. Non era così presuntuosa da credere che non ci sarebbero state ricadute.
«Brava, sono cinque giorni che resisti, non cedere proprio la notte di Natale.»
«Come sai…»
«Io so tutto di te.»
Alice strabuzzò gli occhi a quella dichiarazione e dovette impegnarsi per non spalancare le bocca. «È una dichiarazione da stalker» affermò stupidamente, e le venne da tossire perché l’aria nei suoi polmoni non era abbastanza per sostenere ben cinque  parole.
Il ragazzo sfoderò l’artiglieria pesante quando le sorrise teneramente. Cazzo, i denti di Davide erano il suo punto debole! Possibile che lui lo sapesse?
«Suppongo di esserlo quando si tratta di te» le disse, stringendosi nelle spalle. Spalle larghe, che riempivano il camice bianco in modo peccaminoso.
Alice non sapeva come prendere quella dichiarazione e si alzò in piedi, tanto per far qualcosa. Ma inciampò e non stramazzò a terra solo perché lui la sostenne, posandole le mani sui fianchi.
Il pacchetto di Marlboro le cadde dalle mani, ma non vi badò, troppo concentrata a fissare gli occhi in cui aveva sperato di specchiarsi sin da quando erano stati presentati per la prima volta. Erano già trascorsi sei mesi, giorno più, giorno meno.
«È bel po’ che cerco di fare colpo su di te, ma sei così dannatamente ostinata» iniziò Davide, e il suo cuore decise di passare da una marcia sostenuta a una corsa sfrenata.
«Ricordo ancora la tua prima settimana di tirocinio. Eri intimidita, ma hai conquistato tutti sin da subito. All’inizio eri la mia ombra. Ti fidavi di me.»
«Eri gentile» mormorò, lisciandogli i risvolti del camice sul petto. Le mani di Davide si incrociarono dietro la sua schiena, premendola contro di lui. Così, non sentiva freddo.
«Poi hai deciso di ignorarmi» continuò, sfiorandole il naso con il suo. Alice lo arricciò e lui le diede un bacino sulla punta. Trattenne un gemito di protesta. Voleva di più.
«Eri gentile con tutte» specificò e Davide le prese le braccia per portarsele dietro al collo.
«E questo è un problema?»
«Sì! Voglio dire no. Allontanati, per favore» protestò, sentendo che le accarezzava la schiena. «Non riesco a parlare sensatamente se mi sei vicino.»
Lui scoppiò a ridere, ma ignorò la sua richiesta. «Continua» la invitò, stringendola ancora di più.
«Ti piace essere adorato» lo accusò, indurendo l’espressione, mentre il resto di lei diventava arrendevole e languido.
«Rispettato» precisò Davide, la fronte aggrottata. Alice iniziò a giocherellare con i capelli alla base della nuca. Morbidi.
«E ti lusinga essere corteggiato» proseguì come se lui non avesse parlato. Forse era di indole gelosa, o forse era pazza di lui. Poco importava, fumava di rabbia ogni volta che qualche ochetta in camice gli si avvicinava.
«Preferisco essere osteggiato da te… è molto più divertente» le assicurò il medico e Alice non riuscì a trattenere un sorriso, un sorriso riluttante e dolce tutto per lui.
Davide ispirò bruscamente, poi rilasciò il fiato e dopo un attimo ritrovò il suo proverbiale equilibrio. Lo rendeva nervoso, buono a sapersi.
«Mi hai ignorato perché sei gelosa?» le chiese, confuso.
Alice fece scivolare le mani sul suo petto e premette per allontanarlo da sé. Inutilmente. «Lasciami, subito!» disse, alterata.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. «Smettila di divincolarti! Non ti lascio andare, non più. Dimmi il vero motivo per cui mi sono ritrovato a comportarmi come uno stalker pur di starti vicino. Credo di aver esaurito le scuse per farti assegnare al mio stesso giro visite. E Antonella… sono diventato il suo zimbello!» gemette lui, esasperato.
Non era adorabile?
«Odio i cliché» buttò lì, il tono neutro, come se non avesse appena avuto la conferma che gli piaceva, abbastanza da richiedere la complicità della caporeparto. «Medico e infermiera, è banale!»
Davide ringhiò, un suono basso che le fece attorcigliare le viscere e cedere le gambe.
Si aggrappò alle sue spalle per non cadere. «Okay, okay!» disse, mentre lui la sollevava da terra per portarla alla sua stessa altezza. Circa trenta centimetri più su. «Forse potrei essere un tantino gelosa, ma solo perché sei fastidiosamente perfetto e tutte ti sbavano dietro» disse d’un fiato, le guance che scottavano per l’imbarazzo.
L’angolo della bocca di Davide si piegò in un ghigno vittorioso e molto, molto compiaciuto. Soddisfatto da fare schifo.
«Non sono perfetto, Alice, ma sono contento che tu lo pensi, forse così riuscirò a farti innamorare di me prima che scopri i miei difetti.» Le baciò la guancia, labbra morbide contro pelle infuocata. «E se scappavi per paura della concorrenza, puoi stare tranquilla: non sono sul mercato» concluse, lambendole con la lingua l’angolo della bocca.
«Ah, no?» bisbigliò, lasciando che lui le succhiasse l’aria, la vita. Non era abbastanza.
«No, fin dal giorno in cui mi sono innamorato di un’infermiera con la battuta pronta e gli occhi verdi più dolci che abbia mai visto.»
Alice era persa in un mare di sensazioni, che le ottenebravano la mente e le intorpidivano i sensi, ma quelle parole le sentì bene. «Dottor Fiore, ho un regalo per lei» gli annunciò, prendendogli il viso tra le mani, dopotutto era la vigilia di Natale e lui si era comportato bene. «Però deve promettere che se ne prenderà cura» si raccomandò, guardandolo negli occhi grigi, due pozze piene di desiderio e amore. Per lei, tutto per lei.
«Lo farò» le assicurò, il tono solenne, e Alice gli credette. Annullò la distanza tra le loro labbra e gli donò il suo cuore.
Più tardi, Davide le confidò che quello era in assoluto il regalo più bello che avesse mai ricevuto.




L'autrice:
Angela D'AngeloAngela D’Angelo è nata a Napoli. Laureata in Biotecnologie mediche, fin da bambina scopre la passione per la lettura grazie alle fiabe di Andersen. Ha esordito nel settembre 2014 con Finalmente mio, un racconto erotico pubblicato nella collana Senza sfumature di Delos Digital che è stato per oltre un mese ai vertici della classifica Amazon della sua categoria. Nel gennaio 2015 pubblica A letto con il nemico per Rizzoli Editore, nella collana only digital You Feel. Nel luglio 2015, per la stessa collana, pubblica Ogni maledetta volta, secondo capitolo della Trilogia del Nemico, che si concluderà agli inizi del 2016.
È una delle founder di Insaziabili Letture, un importante blog che si occupa di lettura e scrittura.


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Anteprima: "MILLE PRIME NOTTI - VOLUME 4" di Anja Massetani e Alice Winchester

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Genere: New Adult
Editore: Emma Books
Pagine: 122
Prezzo ebook: € 1,99
Uscita: 14 Dicembre 2015








Sinossi:
Tutto si è spezzato. La verità è venuta a galla portandosi dietro il dolore. Nina, immersa in una bolla di tristezza, non vuole più avere a che fare con Wes, e lui, demoralizzato, pensa che ormai non si possa porre rimedio alla loro rottura. Il danno è troppo grande e sembra essere tardi per il perdono. Ma la rassegnazione dura il tempo di una sera. Incoraggiato da Eric e da sua madre, che sembra essersi finalmente riappropriata del suo ruolo, Wes decide che farà di tutto per riconquistare Nina. Perché per il vero amore bisogna saper lottare.


La serie MILLE PRIME NOTTI è così composta:
1. Volume 1
2. Volume 2
3. Volume 3
4.  Volume 4 






Le autrici:

Alice Bianchi Winchester vive a Lucca col marito e tonnellate di libri. Classe 1983, ha scoperto la passione della scrittura dopo essere stata travolta dal fenomeno Twilight. Da quel giorno si è detta che anche lei avrebbe voluto imprigionare le emozioni su carta, trasformarle in inchiostro. Pubblica nel 2010 Miele nero (Gothic Romance dedicato al suo papà mago, che la veglia da lassù) per Mammaeditori e nel 2014 Fuoco e Zucchero (Young Adult) per la stessa casa editrice. Spera un giorno di potersi dedicare a scrivere romanzi a tempo pieno. Per Emma Books ha scritto il Romantic Suspense Duo cobalto, insieme a Anja Massetani.

Anja Massetani (aka Sophie Martin), nata e vissuta a Dresda, in Germania, oggi vive immersa nella verde campagna in provincia di Firenze insieme al marito, tre figli, cani, gatti e galline. Sin da bambina, la lettura è sempre stata la sua passione. Solo da pochi anni però, sull’onda del boom del Paranormal Romance, si è avvicinata anche al mondo della scrittura, esordendo nel 2014 con Immelancholy, innanzitutto vendetta, un romanzo distopico/Paranormal scritto per Mammaeditori. Per Emma Books ha scritto il Romantic Suspense Duo cobalto, insieme a Alice Bianchi Winchester. Ama leggere di tutto ma predilige il romanzo d’amore in ogni sua variante, e questo vale anche per la scrittura. Inoltre, ha una passione sviscerata per la musica metal, il country rock e il football. Sogna di fare lunghi viaggi e trasferirsi in Texas, un giorno. Per adesso, gli unici mezzi per realizzare i suoi sogni sono i libri e la fantasia.


Anteprima: "MY DILEMMA IS YOU" di Cristina Chiperi

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Cristina Chiperi ha 16 anni. Un pomeriggio di agosto, mentre le amiche sono al mare, ascolta la canzone My dilemma di Selena Gomez e immagina una storia. Che inizia subito a scrivere sul suo cellulare, caricandola sulla piattaforma Wattpad. Il risultato, dopo pochi, ma frenetici mesi di parole digitate, sono circa 8 milioni di clic.
Wattpad, community online per scrittori che sta guadagnando popolarità soprattutto tra i giovani, è un fenomeno in ascesa che ha consentito a più di 100 autori di incontrare editori che hanno portato su carta le loro storie.Oggi Wattpad conta oltre 40 milioni di utenti nel mondo e oltre 80 milioni di storie pubblicate in oltre 50 lingue. L’85% del suo traffico arriva dal mobile. In Italia sta crescendo in popolarità gradualmente: 1 milione gli utenti che hanno prodotto oltre 600.000 storie. My dilemma is you1 è una di queste.











Genere: New Adult
Editore: Leggereditore 
Pagine: 
Prezzo: €
Uscita:  Gennaio 2016










Sinossi:

Cristina Evans ha sedici anni, vive a Los Angeles e frequenta il terzo anno dell’high school. Tra feste, amici e buoni voti, la sua è una vita perfetta, fino a quando la sua famiglia non decide di trasferirsi a Miami, e per Cris cambia tutto. Da un giorno all’altro viene catapultata in una nuova città e soprattutto in una nuova scuola. Nonostante senta la nostalgia di Losa Angeles, riesce rapidamente ad ambientarsi e a stringere amicizia con gli studenti più popolari. Tutti la accolgono calorosamente. Tutti tranne Cameron e la sua ragazza Susan. Perché? Leggere. E scoprire.




Noi, da brave investigatrici, sappiamo che la leggere ha opzionato anche il secondo volume, ve lo anticipiamo restando in attesa di conferme ^_^






Genere: New Adult
Editore: Leggereditore 
Pagine: 
Prezzo: €
Uscita:  Prossimamente








Sinossi:
Continuano i dilemmi nella vita di Cris,e con la storia di Carly,tutto non farà altro che peggiorare. Scoprirà la verità? E riuscirà a perdonare Cameron per ció che ha fatto?







L'autrice:
Cristina Chiperi ha sedici anni e frequenta il primo liceo classico a Padova dove è arrivata con la famiglia dalla Moldavia quando aveva solo due anni. Ormai italiana a tutti gli effetti si definisce “scrittrice, adolescente e sognatrice ad occhi aperti”, molte delle sue storie le arrivano proprio mentre viaggia col pensiero nelle vite dei suoi personaggi










Anteprima: "LO STRANO COSO DELL'ORSO UCCISO NEL BOSCO" di Franco Matteucci.

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Le indagini dell'ispettore Santoni


Genere: Thriller
Editore: Newton Compton Editori
Collana: Narrativa n. 1161
Pagine: 320
Prezzo: € 4,99 (ebook)
Uscita:  17 marzo 2016










Sinossi:

Una lettera greca, un corpo senza vita, un thriller geniale

Un corpo senza vita giace sulla neve nell’apparente tranquillità del bosco. Accanto al cadavere, sul tronco di un albero, c’è incisa una lettera greca. Un segno che potrebbe avere tanti significati. È la firma di chi continua a uccidere a Valdiluce, seminando il panico tra le stradine strette del paesino di montagna. L’ispettore Santoni, però, non riesce a indagare con la sua solita lucidità. Qualcosa – qualcuno – offusca la sua mente investigativa. E intanto il crimine continua a spandersi come una macchia di sangue, lentamente ma inesorabilmente. Gli abitanti di Valdiluce sono asserragliati dentro le loro case, i turisti scappano da quello che una volta era un posto tranquillo e rilassante. Il misterioso serial killer sta per colpire ancora, e il tempo stringe per Marzio Santoni: stavolta in gioco c’è la vita di tutta la valle…




Un autore da 60.000 copie
In classifica per settimane
Il suo successo si espande, come una macchia di sangue

«È nel saper cogliere il valore non superficiale dei dettagli che Matteucci, giovandosi della concretezza imposta dal giallo, trova la sua cifra narrativa più convincente.»
Corriere della Sera

«Un romanzo che cattura, che squarcia un velo sui vizi e sui segreti di una piccola comunità di provincia, che appassiona e intriga, che si nutre di indizi che il disgelo potrebbe cancellare.»
Il Sole 24 ore




L’autore:

Franco Matteucci, autore e regista televisivo, vive e lavora a Roma. Insegna Tecniche di produzione televisiva e cinematografica presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Ha scritto i romanzi La neve rossa (premio Crotone opera prima), Il visionario (finalista al premio Strega, premio Cesare Pavese e premio Scanno), Festa al blu di Prussia (premio Procida Isola di Arturo – Elsa Morante), Il profumo della neve (finalista al premio Strega), Lo show della farfalla (finalista al Premio Viareggio – Repaci), Il suicidio perfetto e La mossa del cartomante (gli ultimi due hanno per protagonista l’ispettore Marzio Santoni). I suoi libri sono stati tradotti in diversi Paesi.







Uscita: "OTTO. LUCE E OMBRA" di Jean Christophe Casalini.

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Genere: Paranormal Thriller
Editore: Vertigo
Collana: Approdi
Pagine: 233
Prezzo cartaceo:€ 11,90
Uscita: 29 maggio 2015








Sinossi:
Otto è un aspirante mago che vive in un minuscolo appartamento a Mestre insieme alla sua fidanzata Anna. La vita sembra metterli a dura prova, soprattutto quando il giovane si trova costretto ad affrontare il comportamento anomalo del suo riflesso, capace di un'autonoma vitalità, che in breve tempo lo porta alla catastrofe completa. Ma quando tutto sembra ormai perduto, un accordo stretto proprio tra Otto e il suo riflesso ribalta la situazione portandolo a raggiungere il successo tanto desiderato. Ma niente, nel romanzo di Jean-Christophe Casalini, è come sembra e in breve tempo la situazione prende una piega assurda, a tratti allucinante. In un crescendo di suspense e di violenza, la vita dei protagonisti sarà più volte sconvolta, tra omicidi, spettacoli ed eventi demoniaci.
Presentazione:
Otto. Luce e Ombraè un romanzo non convenzionale, scritto con coraggio.
Porto il lettore ad odiare il personaggio principale per spingerlo a cercare una empatia con Anna, la sua compagna.
E’ grazie ai sensi della donna, che si scoprirà chi sia realmente Otto.
E’ un libro che ha una chiave di lettura che va al di là del thriller di azione, già avvincente di per sé, per chi coglie nella successione degli eventi, la lotta con il proprio ego per ritrovare il proprio centro, ossia il vuoto ripulito da ogni artificio umano per arrivare alla auspicata consapevolezza.
Questo avviene attraverso l’Amore, inteso come la forza catartica in grado di metterci in dubbio. 



L’autore:
Jean Christophe Casalini nasce il 3 gennaio 1962 a Milano da madre danese Annette Lorentzen (1942-2004), pittrice, e padre francese Paul Casalini (1933-2013), regista. Strimpella la chitarra sotto le attente orecchie del M° A. Pizzigoni (noto jazzista italiano) e compone a 16 anni il mio primo jingle per una marca di lenti a contatto, per poi diventare un vero professionista del settore. Polivalente, diventa l’aiuto per un noto regista pubblicitario italiano Livio Mazzotti, poi scenografo, cosceneggiatore e attore protagonista in una serie televisiva: ‘Interbang!? Le Sette Torri di Pisa’ distribuita e trasmessa in vari paesi. Intuisce per primo in Italia la rivoluzione digitale acustica, fonda una startup, la Mach 2, una società di post produzione e servizi audio per la sonorizzazione di filmati con l’utilizzo delle prime piattaforme informatiche in sincrono con il video. Nel 1993, Salvatores lo coinvolge nel suo film ‘Sud’ per coordinare i vari professionisti dell’audio e realizzare la prima colonna in quadrifonia con il sistema Dolby SR.  Ottiene per la prima volta nei credits di film italiani, la menzione di ‘Sound Designer’. Nel 1996 Gabriele lo chiama per il suo nuovo film ‘Nirvana’ per affidargli il sound design della prima colonna audio italiana in 5.1, portando finalmente il cinema italiano ai livelli acustici già sperimentati all’estero. L’anno successivo inventa il suono, utilizzato ancora oggi in tutto il mondo, del morso di Magnum. Il successo è tale che, negli anni a seguire fino ad oggi, sonorizza una decina di film (tra cui Anni 90, Viva San Isidro, Estomago), realizza oltre 13.000 masters audio digitali per tutte le marche italiane e circa 2500 radiocomunicati prima di diventare produttore pubblicitario di spot nazionali. Nel 2000 realizza il primo libro ‘CA43’ su sua madre che non ha mai voluto esporre le sue opere, rivelando i significati ermetici dei suoi dipinti post moderni. Insieme a suo fratello Brunetto nel 2014 decide di esporre per la prima volta dal vivo le opere di sua madre al Palazzo della Regione Lombardia in occasione del decimo anno dalla sua scomparsa prematura. Autoproduce e pubblica il libro ‘Inventory of Dreams’ con il curatore Alan Jones e, nel 2015, il secondo volume in occasione della mostra al museo Æglageret di Holbaek (DK), la città natale di Annette.
In concomittanza esce il suo primo romanzo OTTO. Luce e Ombra / Ed. Vertigo.









Anteprima: "IL MILIONARIO DEL PIANO DI SOPRA" di M.J. O' Shea.

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Traduttore: Emanuela Cardarelli
Genere: M/M
Editore: Dreamspinner Press Italia
Collana: Dreamspun Desires
Pagine:
 150
Prezzo: $ 4.99 (ebook)
Uscita:  1 gennaio 2016









Sinossi:

Quando le luci si spengono e l’alta moda si accende…
Sasha Sobieski ha un impiego perfetto nella famosa casa di moda americana Harrison Kingsley. O perlomeno, pensa di avere un impiego perfetto, finché non si ritrova a lavorare per Harrison Kingsley in persona. Lo stilista è esigente, difficile, freddo, e in assoluto l’uomo più sexy che Sasha abbia mai incontrato.
Harrison Kingsley ha trascorso anni al vertice. Sa cosa vuole, quando lo vuole e come lo vuole avere. E cosa desidera di più al momento? Il suo nuovo assistente. Sasha è sfacciato, presuntuoso, e lo fa impazzire. Il problema è che Harrison non sa se lo fa impazzire di rabbia o… di desiderio.



Anteprima: "THE BOY" di Abigail Barnette.

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Dall'autrice del bestseller The boss
Una passione travolgente
Un successo internazionale


Genere: Erotico
Editore: Newton Compton
Pagine: 356
Prezzo ebook: € 2,99
Uscita: 31 Dicembre 2015 







Sinossi:

Quando la vita va a rotoli, qualcuno deve rimetterla in sesto. Sophie Scaife si è trovata troppo spesso in questa situazione. Dovrebbe festeggiare un nuovo anno e un grande successo e invece sta cercando disperatamente di tenere insieme il suo mondo che sta andando in frantumi. Per Sophie e suo marito, il miliardario Neil Elwood, gestire la quotidianità del matrimonio e i loro roventi giochi di dominazione e sottomissione è una cosa naturale. Il ritorno di una vecchia fiamma non fa altro che ravvivare il loro audace rapporto con nuove perversioni e fa divampare ancora di più la passione. Il desiderio di Neil per Sophie è pari solo alla sua motivazione nell'intraprendere un nuovo progetto filantropico molto ambizioso. Ma l'effetto collaterale del più grande trionfo di Neil è uno sconvolgente cambiamento a cui nessuno dei due era preparato. Da un giorno all'altro, Sophie si ritrova catapultata in una nuova realtà, completamente diversa dalla vita che aveva immaginato. Travolta da mille emozioni, Sophie lotta per conciliare l’immagine del marito che adora con un uomo che non riconosce più. Un uomo che ama troppo per lasciarlo andare senza lottare...

La serie “The Boss” è così composta:
1. The Boss 
2. The Girl (The Girlfriend) 
2.5  The Hook-Up
3. The wedding (The Bride)
5.  THE BOY (The baby)


L’autrice: 
Abigail Barnette è l’alter ego con cui l’autrice Jennifer Trout firma i suoi romanzi erotici. La Newton Compton ha già pubblicato The Boss, il primo volume della serie, che ha riscosso un enorme successo in Italia come negli USA, e The Girl. Per maggiori informazioni, visitate il suo sito jennytrout.com.



Anteprima: "LA LIBRERIA DEI DESIDERI" di Claire Ashby

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Finalmente in Italia il romanzo perfetto per gli amanti dei libri





Genere: Romance
Editore: Newton Compton 
Pagine: 288
Prezzo: € 4,99 ebook
Uscita:  4 Febbraio 2016

                     






Sinossi:

Meg Michaels, giovane proprietaria di una libreria, si sta leccando ancora le ferite per aver chiuso, una dopo l’altra, due storie con due uomini sbagliati. Si è rifugiata nel lavoro e passa gran parte del tempo tra i suoi adorati libri, finché, un giorno, scopre di essere incinta. Meg è sconvolta e non sa come gestire la cosa, nel frattempo, però, decide di non rivelare a nessuno, né amici né familiari, la sua nuova condizione. Mentre cerca di capire il da farsi, comincia a vestirsi con più di strati di vestiti per nascondere la gravidanza. Una sera alcuni amici preoccupati dal suo atteggiamento sempre più schivo, la convincono ad andare a una festa; Meg ha un piccolo mancamento e, proprio l’ospite d’onore, un medico dell’esercito in congedo, Theo Taylor, la soccorre e… scopre il suo segreto. Theo è stato ferito in guerra, è dolce, discreto e premuroso, e tra i due, giorno dopo giorno, nasce un legame strano, fatto di dettagli e confessioni, di comprensione e… una straordinaria attrazione fisica che coglie entrambi di sorpresa. Tra uno scaffale da riordinare, una pila di bestseller da spolverare e una vita che nasce, Meg sarà capace di darsi di nuovo la possibilità di essere felice?


Negli Stati Uniti è una miss bestseller
Il New York Times la adora



«Come una tazza di tè, questo romanzo vi farà sentire a casa, con la piacevole sensazione che si prova quando si è al caldo davanti a una finestra, mentre l’autunno è là fuori.»



«Eccentrico, sexy e commovente, una storia di amore e di perdono sul significato della famiglia.» 



«Il libro perfetto per i bibliofili.»


Anteprima: "NON RIESCO A DIMENTICARTI" di Penelope Douglas.

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N.1 in America
Un'autrice da 40.000 copie



Genere: New Adult
Editore: Newton Comton Editore
Collana: Narrativa n. 1139
Pagine:
 256
Prezzo: € 4.99 (ebook)
Uscita:  11 febbraio 2016







Sinossi:

Dall’autrice del bestseller Mai per amore

K. C. Carter ha sempre seguito le regole, fino a quest’anno, quando per un errore è costretta a lasciare il campus e a trascorrere l’estate nel paesino in cui è nata, per adempiere ai servizi utili alla comunità: così ha ordinato il tribunale. Ma non è l’unica difficoltà a cui far fronte al suo arrivo: al nome di Jaxon Trent risponde il peggior tipo di tentazione che si possa immaginare, ed è esattamente ciò da cui K. C. è riuscita a stare lontana fin dai tempi del liceo. Lui non l’ha mai dimenticata, anche perché è l’unica ragazza a non essere mai uscita con lui e ad avergli detto sempre di no. Quando il caso riporta K. C. nella sua vita, le cose non sono però semplici: avvicinare K. C. è davvero complicato, controllata com’è da sua madre, ma Jaxon scalpita dal desiderio e le idee per eludere la sorveglianza non gli mancano…



L’autrice dice del suo libro:
«Ogni sussurro, ogni respiro, ogni bacio, e ogni parola è nata nella parte più profonda di me. Questo è il libro di cui sono più orgogliosa.»

«Ho appena finito Non riesco a dimenticarti della Douglas. I suoi libri sono il mio peccato. Deliziosi piaceri. In genere i romanzi con molto sesso non fanno per me. Ma qui, oltre al sesso c’è una scrittura notevole e personaggi interessanti.»
Amy Harmon



La serie “FALL AWAY” è così composta:



1. Mai per amore– (Bully), ed. italiana: 30 maggio 2014

2.Da quando ci sei tu–  (Until You), ed. italiana: 14 novembre 2014

3. La mia meravigliosa rivincita - (Rival), ed. italiana: 27 maggio 2015

4. Non riesco a dimenticarti (Falling away), ed. italiana: 11 febbraio 2016
5. Aflame: inedito in Italia, originale pubblicato il 21 aprile 2015.









L’autore:

Penelope Douglas vive e insegna a Las Vegas. Nata a Dubuque, Iowa, ha conseguito una laurea in Amministrazione pubblica, poi un Master in Scienza dell’educazione alla Loyola University di New Orleans. La Newton Compton ha già pubblicato Mai per amore, Da quando ci sei tu e La mia meravigliosa rivincita. Per saperne di più potete seguirla su Twitter e Facebook e su www.penelopedouglasauthor.com.









Romantic Xmas: "UN PICCOLO DESIDERIO" di Sara Tessa.

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Inizia una nuova settimana e non può mancare un racconto della nostra rassegna Romantic Xmas
Oggi a tenervi compagnia sarà Natalie, la protagonista di "UN PICCOLO DESIDERIO" dell'acclamatissima e amatissima SARA TESSA!
Riusciranno i protagonisti di questa storia a provocare un uragano di emozioni?
Non resta che scoprirlo!

Buona Lettura!






                               

Chi era l'uomo che avevo nel letto?
Nel buio della mia stanza, aggrappata al mio cuscino, avvertivo quel corpo caldo e senza identità cingermi stretta tra le braccia. Cosa diavolo era successo la sera prima per essere così in intimità con qualcuno? Nei pochi ricordi che ciondolavano nella mente, c'erano solo alcune tessere di un puzzle decisamente confuso, e in nessuno di quei piccoli pezzi sparsi si rilevava la presenza di un maschio, ma soprattutto in nessunissima immagine c'era l'esito finale della serata, ovvero, sesso con un sconosciuto.
In quel pasticcio di reminiscenze all'improvviso un pensiero transitò come un'insegna luminosa davanti ai miei occhi e pregai con tutta me stessa di aver usato il preservativo. Selezionai dalla mente il primo pezzo del rompicapo. Dunque, avevo partecipato alla festa dell'Avvento al Santo Natale presso i magazzini del Macy's Herald Square dove lavoravo da cinque anni come assistente del direttore commerciale. Un evento imposto dalla proprietà Guillaime, che obbligava da mezzo secolo tutti i dipendenti a radunarsi la sera del primo di dicembre per addobbare l'albero di Natale appendendo ai suoi rami i propri desideri sigillati in piccole buste. L'usanza a quanto pareva era di buon auspicio per portare ricchi profitti e miracoli avverati. Ma da due anni a questa parte le speranze erano state disilluse. Profitti non se ne vedevano e nemmeno desideri avverati. Della serata ricordavo il brindisi, il discorso del magnate George Guillaime circondato dai dirigenti e dalla sua famiglia, gli auguri, gli abbracci tra colleghi, e il mio desiderio appeso a un rametto. Dopodiché la mia fuga per raggiungere alcuni amici al Lavo, noto nightclub. Rammentavo il momento in cui mi ero seduta sui divanetti, il primo Martini, il secondo, e poi un susseguirsi di chupiti di Vodka. In una tessera del puzzle c'era anche un Manhattan, ma riuscivo solo a mettere a fuoco quel bicchiere colmo e le due cannucce ma non le mie mani intorno ad esso, e soprattutto non ricordavo di averlo bevuto. C'erano poi dei piccoli flash di me in mezzo alla pista a ballare e del momento in cui mi ero rifugiata in bagno per evitare il corteggiamento da primitivo di uno spavaldo sfigato. In seguito, sul tavolo mnemonico, erano rimaste solo altre due tessere. La prima riguardava una ragazza incontrata nella toilette. Era aggrappata al lavabo a piangere. Quei suoi occhi devastati dal trucco sbavato sulle guance mi avevano fatto tanta di quella tristezza che per reazione l'avevo abbracciata obbligandola a distogliere lo sguardo dallo specchio. Faceva male vedersi piangere, faceva un male cane. Il nome della ragazza non faceva parte di alcuna tessera, ma un sorriso dolce quando era riuscita a calmarsi, sì. L'altra tessera invece era sbiaditissima e credo avesse a che fare con quello dietro di me e che mi teneva ancora tra le sue calde braccia. In quell'immagine sfocata c'erano solo delle labbra stampate sulle mie.
L'uomo si mosse appena stringendomi più forte. E di nuovo la domanda del secolo: Chi era l'uomo che avevo nel letto? Ancora un mistero in quella ricerca faticosa nella memoria. Mi era già capitato una volta di ritrovarmi a letto con uno sconosciuto e non era stata una bella esperienza scoprire poi chi fosse. Esistono uomini che possono essere definiti avvoltoi, lo vedi anche da come si comportano. Sono osservatori, strateghi. Sono quelli che magari per tutto il tempo sembrano farsi i fatti loro, almeno all'apparenza, ma in realtà sono attentissimi e sempre a caccia, in attesa della preda più debole. Come lupi, leoni, appunto, come avvoltoi, afferrano la vittima predestinata nel momento in cui questa è distratta e nel nostro caotico mondo di solito tutto questo accadeva quando la fanciulla era ubriaca e quindi debole di per sé
Chi era l'uomo dietro di me, che senza ombra di dubbio doveva essere un avvoltoio per essersi scopato una ubriaca, e nonostante questo particolare aveva un profumo paradisiaco, tra l'altro per niente nuovo?
Da dietro la porta, Prometeo, il mio gattone, si fece sentire con il suo miagolio del risveglio, acuto e penetrante. Dovevano essere le otto del mattino. Non so come facessero, ma i gatti sembravano avere un orologio incorporato. E il suo era puntuale e preciso, tanto da spaccare il secondo. Forse dipendeva dal fatto che il tempo per gli animali era un fattore fisiologico a differenza di noi umani ormai abituati a tic e tac innaturali. Avevamo bisogno del tempo per ricordarci di sfamarci, dormire, correre, o non fare nulla. Stivati in appuntamenti, progetti e scadenze. Imprigionati nell'ossessione del tempo che passa.
Dopo dieci miagolii in crescendo, Prometeo passò alla fase finale della sua sveglia, ovvero scardinare la porta con gli artigli affilati. Lo sapeva quel tigrotto bastardo e nero che mi sarei alzata all'istante e furiosa, ma resistetti il più possibile poiché sollevarmi da quel materasso significava affrontare l'inevitabile. Lui dietro di me. L'insistenza di Prometeo purtroppo lo svegliò. Con una mano spostò delicatamente una ciocca dei miei capelli dal mio orecchio quasi volesse farmi sentire lo stronzetto dietro la porta. Va bene, pensai, affrontiamo il futuro. Mi scostai e l'uomo immediatamente mi strinse a sé. Accavallando una gamba, arpionò la mia alla sua bloccandomi. Cristo santo. Ma chi era per essere anche dolce e vagamente gentile in quei modi?
«Dove vai?», chiese in un sussurro per poi baciarmi la spalla.
E dove vado, pensai. A buttarmi a mare.
«Devo dare da mangiare al mio gatto», dissi sentendomi una vera stupida.
L'uomo allentò l'abbraccio e io scivolai fuori dal letto. Appena toccai il pavimento calpestai con il piede qualcosa che così a grandi linee immaginai essere un preservativo. Bene, pensai, un po' di coscienza in fondo l'aveva avuta. Brava Natalie.
A tastoni afferrai dalla cassettiera una maglietta e un paio di slip, dopodiché uscii dalla stanza e alla luce del corridoio incrociai lo sguardo di Prometeo, seduto nella sua posa statuaria ai miei piedi, che attraverso quei due occhioni inquisitori e diabolici mi diceva: «Dammi da mangiare svergognata».
Con lui che sgattaiolava tra le mie gambe, e cercando di non cadere a terra, raggiunsi velocemente la cucina. Il suo miao imperterrito mi stava spaccando la testa. Per porre fine al suo lamento riversai nella sua ciotola le crocchette e rabboccai l'altra ciotola con acqua fresca, poi finalmente potei respirare. Meditabonda guardai fuori dalla finestra il sole sopra il cielo di New York. Un inverno così non si era mai visto da che ero al mondo. Cielo azzurro e un sole abbagliante che rendeva il gelo di quei giorni nullo. Le previsioni meteo davano neve per l'indomani, ma era quasi assurdo pensarlo guardando quel soffitto celeste così luminoso e libero da qualsiasi ombra.  Avevo l'impressione che l'universo in qualche modo, per mezzo di quel sole splendente, ci stesse inviando energia, quasi volesse scaldarci, ripristinarci, ricaricarci, e aiutarci così a contrastare il succhiare della vita di ogni giorno. Oppure, come forse era più probabile, era solo l'effetto del buco dell'ozono.
Caricai la macchina del caffè e dal cellulare controllai i messaggi della sera prima.
L'ultimo era di Mary e mi chiedeva se fossi arrivata a casa sana e salva. Le avevo risposto alle quattro del mattino con un pollice alzato.
Le inviai un nuovo messaggio anche se, considerata l'ora, dubitavo in una sua pronta risposta.

Sai dirmi con chi sono tornata a casa?

Attesi un minuto e compresi che per risolvere l'arcano ancora sdraiato nel mio letto, e così fare luce nei ricordi, mi restava solo accedere a face book e cercare in quel moderno archivio della memoria quello che mancava nel mio cervello. Mary aveva l'ossessione dello scatto selvaggio. Immortalava tutto, anche i pali della luce. E infatti, non appena la sua bella faccina allegra apparve sul display, notai subito un nuovo album tra i primi post del giorno. Paura e delirio al Lavo, questo il titolo. Rapida sfilai in modo compulsivo le immagini della nottata evitando di mettermi a fuoco. Appena mi intercettavo passavo alla fotografia successiva. Non era un bel vedere. Ubriaca, sorriso stampato, occhi stravolti e quell'espressione di finta felicità catartica tipica di quegli stati. Un falso sorriso che era solo disperazione alcolica. Dopo quaranta foto mi fermai su una in particolare... e lì, con il cellulare tra le mani, potei solo chiudere gli occhi. Oddio, no, oddio, no. Oddio. No. Alzai lo sguardo alla finestra per non guardare quella realtà immortalata e appiccicata nella bacheca della storia dell'universo con i suoi cinquanta “I like it”. Ora capivo perché quel profumo non mi fosse nuovo. Possibile? Ma davvero? Riaccesi il cellulare e guardai nuovamente quella foto che immortalava il mio direttore commerciale schiacciato contro un muro da una me irrimediabilmente sbronza e le mie braccia aggrappate al suo collo.
«Buongiorno», disse Brandon Guillaime sulla soglia della cucina. Questo ovviamente era il suo nome. Il quale ora non era più nel mio letto, ma stava alle mie spalle e non dietro la scrivania come tutti i santi giorni feriali da ormai cinque anni a questa parte.
Il display si annerì e io mi voltai. Quasi non lo riconoscevo vestito solo da un paio di boxer neri. Lui, sempre impeccabile, con i suoi abiti firmati, profumati, senza mai una grinza. Imbarazzata e senza sapere davvero cosa dire, riabbassai gli occhi. Era quanto di meglio riuscivo a fare. Vederlo in una divisa umana che non fosse il solito completo incravattato a cui ero abituata era troppo forte per i postumi che provavo. La testa adesso pulsava da morire e mi stava salendo anche la nausea. Non so bene se per la quantità industriale di drink bevuti fino a qualche ora prima o semplicemente per la situazione assurda. A questo punto direi tutte due. L'insieme era un miscuglio letale e devastante.
E quindi? Ora che si era svelata l'identità dell'uomo, la domanda che capeggiava sopra di me ovviamente era solo una: Come era potuto accadere che ci fossi finita insieme, proprio io? Come era potuto accadere che mi fossi fatta il mio direttore commerciale? Lo stronzo numero uno, il Re dei narcisi? Io, Natalie, ordinaria, precisa, accomodante assistente alla direzione commerciale di uno dei più noti magazzini di New York. Cristo santo, non potevo essere stata tanto ubriaca da non rendermene conto.
«Non so cosa dire», mormorai guardando a terra per reggere quella vergogna profonda e viscerale.
«Direi buongiorno», disse lui avvicinandosi.
Per evitare qualsiasi contatto mi raddrizzai e tirai fuori la Natalie assistente.
«Caffè?», chiesi cortesemente come di consuetudine, anche se era assurdo: io ero lì, davanti a lui, in un paio di slip e una maglietta sgualcita.
Mr Guillaime mi sorrise e io lo odiai profondamente. Quel suo sorriso, lo detestavo. Sicuramente in quella testa di cazzo che si trovava stava appuntando una nuova bandierina sull'organigramma aziendale. In veste di direttore commerciale, nonché figlio del proprietario dei magazzini  del Macy's Herald Square, nonché rampollo della società bene di New York, si era passato per le mani almeno l'ottanta per cento delle dipendenti, cosa che avevo scoperto essere una legge universale negli ambienti della grande distribuzione. Un porto di mare per fottersi a vicenda. Solo un venti percento era rimasto illeso dalle sue attenzioni ed era costituito per lo più da donne che non rientravano nel suo target. Ovvero “over-trenta”. Sì, perché per quello stronzo davanti a me le over erano “noccioli nucleari”, così le aveva definite una volta in mia presenza. Diceva che superata la soglia dei trenta scattava in loro un tic tac biologico. Una scadenza sempre più impellente nella testa delle over, ovvero procreare e dare un senso alla vita, il che secondo la sua teoria maschilista le portava inesorabilmente a diventare delle manipolatrici, false e presunte stalker. Teorie di uno stronzo qualunquista. Per fortuna anche io facevo parte di quella esigua percentuale, ma non per l'età, piuttosto per essere riuscita a farmi valere nel mio lavoro rendendo qualsiasi attenzione inopportuna. Ero sempre puntuale, diligente, precisa, organizzata, e sempre un passo avanti rispetto a lui che era più concentrato a guardasi attorno piuttosto che a fronteggiare la crisi del commercio. Ma la verità era un'altra. Ero scampata alla sua attenzione prevalentemente per i miei chili di troppo, i cinque gradi di miopia, i capelli ingovernabili e forse una statura media che anche mettendo i tacchi mi facevano risultare sempre per quello che ero. Una nana bagonza. Ma questo era stato fino a tre anni prima. Lavorare per lui aveva avuto come effetto collaterale rivoluzionare la mia vita in tutti i sensi. Solo la statura era rimasta la medesima, il resto se ne era andato con lo stress da lavoro, un'operazione correttiva in un ottimo centro oculistico e una periodica lisciatura chimica ai capelli mi avevano reso la perfetta assistente. Ero diventata brava in quella recita, sempre impeccabile, io quel lavoro di merda lo svolgevo alla grande ma solo perché mi permetteva di perseguire il mio grande sogno, diventare una designer di gioielli. Frequentavo i corsi serali alla scuola d'arte visiva di New York e mancava ancora un semestre per concludere gli studi e poi finalmente dedicarmi a quello che veramente volevo fare nella vita. Quel lavoro mi era servito e mi serviva ancora per realizzare il mio progetto. Per anni avevo minuziosamente messo da parte ogni dollaro per crearmi un fondo di sicurezza abbastanza consistente da permettermi due anni di sopravvivenza una volta terminati gli studi. Ancora sei mesi. Esame, dimissioni e vita. E questo scivolone non doveva mettermi i bastoni tra le ruote.
«Amaro, se possibile», disse ancora con quel sorriso, ma stranamente gentile.
Corrugai la fronte incerta. Lo sapevo benissimo come voleva il suo cazzo di caffè. Gliene versai in una tazza e gliela porsi.
«Mi spiace, non ho molto in casa, di solito faccio colazione per strada». Già, proprio così, perché ogni mattina dovevo portargli il suo caffè amaro acquistato al Stumptown Coffee Roasters e farglielo trovare sulla sua scrivania alle nove in punto.
«Va bene così», disse lui.
Si sedette al tavolo della cucina e io restai appoggiata al lavello a sorseggiare il mio. Poi mi resi conto di essere in mutande e allora me ne andai in camera a recuperare un paio di pantaloni che infilai al volo. Scostai le tende e spalancai la finestra affinché l'aria purificasse l'ambiente. Non appena se ne fosse andato, avrei gettato quelle lenzuola. Nemmeno una sterilizzazione avrebbe potuto eliminare la macchia nella mia anima. Meglio buttarle e non vederle più.
Da terra raccolsi il preservativo che, una volta avvolto in un fazzoletto, buttai nel cestino del bagno. E poi davanti allo specchio potei finalmente guardarmi negli occhi.
«Ma che cazzo hai combinato, Natalie, Natalie, Natalie, Natalie, Natalie».
E quel mantrico Natalie andò avanti per un paio di minuti finché dopo aver inspirato due o tre volte decisi di affrontare la faccenda. Dovevo fare appello alla Natalie pragmatica dentro di me.
Cosa era importante nel mio mondo? La risposta era ovvia: il lavoro che facevo, lo stipendio che percepivo puntale, pagare la retta alla scuola, insomma, il mio futuro. Perseguire il mio sogno. Pertanto adesso dovevo tornare da lui, guardandolo dritto negli occhi e dirgli senza mezzi termini: «Mr Guillaime, non so cosa sia accaduto stanotte, ma credo che mantenere un atteggiamento professionale sia di interesse per entrambi. Ritengo questa scelta la più pratica per potere continuare a lavorare insieme con criterio come da cinque anni a questa parte e secondo gli obiettivi della nostra azienda».
Inspirai e ok.
Prima del discorso però era necessario ricomporsi. Mi stavo lavando i denti per avere una bocca meno impastata quando Guillaime si palesò davanti all'ingresso del bagno. Mi sciacquai la bocca velocemente e, rialzatami, affrontai il momento.
«Natalie...», disse lui.
«Sì», risposi e via, «Mr Guillaime, vorrei precisare che...».
Lui mi sorrise, con la mano mi sfiorò una spalla e io arrestai la filippica. Dopodiché mi trovai con le spalle alle piastrelle gelide e le sue labbra sulle mie per dei baci leggeri. «Sembri nervosa», disse seducente cingendomi la vita.
Sgusciai via dal suo abbraccio.
«Senta, Mr Guillaime, raramente mi capita di tornare a casa con un uomo e sinceramente non so cosa sia successo ieri sera, cioè, ho un vago ricordo e comunque direi che potremmo cercare di dimenticare tutto e proseguire il nostro lavoro come se nulla fosse mai successo. Tengo molto all’impiego presso il Macy's Square Trade e soprattutto alla posizione che ho raggiunto in questi anni, quindi non vedo il motivo di proseguire oltre. Sono sicura che sarà d'accordo con me, considerando che se dovesse venirne a conoscenza suo padre mi aspetta il licenziamento, come è già successo alla sue precedenti assistenti. Nel contratto, se ricorda, c'è proprio una condizione specifica in merito alle relazioni extra lavorative. Insomma, spero che quanto accaduto stanotte non comprometta il lavoro a cui tengo molto. Sono certa che il mio operato per lei valga più di qualche ora di incoscienza».
Ecco, in un fiume in piena dissi tutto. Naturalmente feci il discorso fissando con lo sguardo l'unico punto del suo viso che per me era territorio neutro e mi aiutava a non farmi agganciare da un magnetismo che gli apparteneva per natura. Quella micro porzione di pelle tra le sue sopracciglia era una zona perfetta per concentrare lo sguardo senza sembrare una pazza.
Dopo qualche secondo di silenzio lui fece un passo indietro e osservai le sue spalle cedere di qualche millimetro. Quasi fosse spiazzato. Non so bene. Era la prima volta che lo vedevo a spalle nude, ma era la sua espressione a essere una novità per me. Non lo avevo mai visto così... come dire... deluso? Mi grattai la testa confusa.
«Sai chi sono?», chiese.
«Direi di sì», risposi interdetta. Non mi aspettavo una domanda del genere...
«Conosci mio padre?», domandò ancora, «Lavori al Macy's Herald Square?».
Uno di fronte all'altra ci guardammo circospetti. Prometeo apparve ai nostri piedi e un miagolio attirò la nostra attenzione verso di lui. Che razza di domande mi stava facendo? Riflettei e poi feci uno più uno e intuii il suo gioco. Mi stava prendendo in giro. Certo, tipico di lui. Era un modo per sdrammatizzare.
«Bene, mi pare di capire che è come se non fosse successo nulla».
Lui però non sembrò cambiare espressione che da delusa nel frattempo era diventata basita, poi all'improvviso iniziò a ridere.
«Quindi tu...», borbottò, «quindi tu lavori per mio padre?»
«Sta scherzando, vero?», mormorai.
«E cosa fai di preciso?».
«Come cosa faccio? Perché continua a prendermi in giro?», chiesi adesso decisamente scocciata.
«Scusami, scusami, ma credo ci sia un equivoco», disse. Poi si mise una mano davanti alle labbra per mascherare la risata.
«Non capisco cosa ci sia da ridere».
«Scusami, ma è davvero una strana coincidenza. Tu chi credi io sia?».
«Brandon Guillaime», risposi senza incertezze.
Lui annuì. «Certo, certo. Davvero buffo, e chi ci potrebbe credere? Scusami ma Brandon è mio fratello. Io sono Jason, il gemello, o meglio la pecora nera della famiglia».
Questa volta fui io ad abbassare le spalle. Disorientata e incredula.
Sapevo dell'esistenza di un fratello gemello, peraltro mai visto se non in qualche foto sparsa per l'azienda. E dalle poche informazioni trapelate in azienda, sapevo che viveva nella sperduta Alaska a salvare orsi polari. Prima di scappare da New York aveva ricoperto la carica che ora seguiva Brandon. Su di lui si narrava la leggenda che durante una riunione avesse distrutto un tavolo in cristallo con un pugno per poi sparire per anni. Da allora aveva viaggiato di continuo, ovviamente spesato dalla famiglia che per quella crisi d'identità aveva costituito una fondazione ad personam.
«Ironico?», chiese beffardo.
«Siete identici», dissi scrutandolo meglio. Poi però riconobbi in lui un'espressione nota, tipica di Brandon. La chiamavo «la faccia da culo». La usava sempre con i clienti. Era un esperto in questo. Aveva l'abilità di far credere loro che stessero decidendo, quando in realtà aveva pianificato tutto fin dalla prima parola pronunciata.
Senza ombra di dubbio, quella faccia da culo mi stava dicendo che mi stava prendendo in giro.
«Non sei convinta?», chiese come se avesse capito i miei pensieri. «Se vuoi chiamo Brandon, anzi ti faccio vedere un documento d'identità».
In silenzio e dubbiosa restai sulle mie.
«Va bene, ti faccio vedere un documento», disse uscendo dal bagno. A piccoli passi lo seguii in camera, dove un po' ovunque erano sparsi i nostri abiti.
Jason, o chiunque fosse, estrasse dalla giacca un portafogli e mi pose sotto il naso la sua patente di guida.
Tenevo quel documento tra le mani gelide fissando quel nome stampato. Jason Guillaime. Mi morsi le labbra e piegai la testa di lato senza alzare lo sguardo. Riuscii a bisbigliare uno “scusa”, udibile forse solo a Dio.
«È stato bello stanotte», disse, «e sono stato proprio bene».
Chiusi gli occhi e respirai. Io non mi ricordavo un bel niente.
Scossi la testa imbarazzata. «Ho vaghi ricordi, scusami, davvero, non so come sia potuto accadere».
«Eri su di giri, ma lo ero anche io».
«Già, immagino», mormorai.
Prometeo nel frattempo si era seduto sulla cassettiera a guardarci vigile e sornione.
«Sei identico a lui, fai impressione e non so come sia potuto accadere. Ma almeno ci siamo presentati? Cioè tu mi avevi detto chi eri?».
Lui scosse la testa. «Non proprio, non ho avuto il tempo, mi sei saltata addosso».
Poi la mia attenzione cadde sulla camicia abbandonata a terra dove potevo leggere le iniziali “BG” ricamate.
«Portate gli stessi vestiti?», chiesi indicando la camicia. Nonostante la prova del documento, e tutto sommato anche quei modi di fare gentili, non ero per niente convinta. Insomma era una situazione assurda e Brandon era uno stronzo colossale.
Lui scrutò la camicia ai suoi piedi con stampate quelle iniziali.
«Vivo in Alaska e porto solo maglioni in pile, scarponi da montagna e pantaloni termici. Quando soggiorno a New York, Brandon mi presta i suoi vestiti, lo facevamo fin da ragazzi. Tra gemelli è consuetudine».
Io annuii, poi forse colse il mio imbarazzo.
«Se vuoi me ne vado, capisco la situazione però, sono sincero, non vorrei che questo incontro finisse così, insomma, anche se non ricordi nulla io invece ho la memoria intatta e magari adesso che sei un po' più sveglia possiamo presentarci meglio».
Sorrisi appena.
«Scendiamo a fare colazione», raccolse la camicia per indossarla velocemente. «Dai, quattro chiacchiere dietro ad un tavolino, zona neutra. Prometto che non dirò nulla alla mia famiglia. E poi resto qui fino alle feste di Natale e dopo al massimo svelerò questo segreto a qualche orso. Andiamo, Natalie, mi piacerebbe parlare con un essere umano che non sia un orso o qualcuno della mia famiglia».
Scoppiai a ridere. «Non lo so, credo non sia il caso».
«Dai, Natalie, ricominciamo. Mi presento. Ciao, io sono Jason», disse porgendomi la mano.
Davanti a quel sorriso che, per quanto simile a quello del fratello, con quei due occhi a fissarmi assumeva un significato del tutto diverso.
«Piacere, io sono Natalie»
«Perfetto, allora, posso offrirti la colazione?»
«Ok, va bene, ci sto», risposi stringendomi nelle spalle. Aveva un modo di fare davvero accomodante e cortese.
Seduti in un piccolo bar davanti a caffè e ciambelle, mi raccontò dell'Alaska e della sua vita da vagabondo e volle sapere tutto di me. Non gli interessava sapere del lavoro presso l'azienda della sua famiglia. Le domande erano rivolte alla mia persona. Ai tempi della scuola, ai miei passatempi e tante altre cose. Dopo quella colazione restammo d'accordo di rivederci. E accettai. Così, in men che non si dica, mi trovai a vivere tra due gemelli. La mattina mi svegliavo con Jason identico a Brandon nel mio letto e dopo un'ora rivedevo quella stessa faccia dietro a una scrivania. Quest'ultimo, a volte mi trovavo a fissarlo con curiosità. Mi chiedevo come fosse possibile che due fratelli gemelli fossero tanto diversi nell'anima. Due opposti. Il buono e il cattivo
Intanto si avvicinavano gli ultimi giorni prima del Natale ed erano i più stressanti. La storia con Jason stava volgendo alla fine. Nonostante l'accordo implicito tra noi, era inevitabile che in me qualcosa stesse nascendo. Aver riassaporato la compagnia di un uomo aveva in qualche modo risvegliato il mio cuore malandato.
Intanto, in azienda la fibrillazione di fine anno si faceva sentire. Il bilancio era in dirittura d'arrivo e le prospettive non sembravano essere le migliori. Per la terza volta da che esisteva su questo pianeta il Macy's Herald Square, il rendiconto avrebbe chiuso con un passivo dell'otto per cento e questo avrebbe comportato di sicuro un piano di ristrutturazione. La cosa, però, non mi interessava minimamente. Poco più di cinque mesi e me ne sarei andata
«Natalie, ho bisogno di parlarti», disse Brandon all'interfono quel venerdì pomeriggio. Alzai gli occhi dal computer e guardai la sua porta chiusa.
«Arrivo subito», risposi.
Presi il taccuino, blackberry e affilai la matita. Come da prassi, prima di entrare nel suo ufficio bussai tre volte.
Appena entrai, trovai Brandon accanto al divano anziché seduto nella sua poltrona in pelle. Mi fece cenno di raggiungerlo e così feci.
«Prego, accomodati», disse.
Mi sedetti in un angolo, con le spalle ben dritte e le gambe accavallate, e attesi i comandi con matita alla mano.
Brandon si sedette più o meno a mezzo metro da me. Fece un sospiro e incominciò il suo discorso.
«Natalie, ormai sono cinque anni che lavoriamo insieme e mi pare che la nostra collaborazione proceda bene, tutto sommato... Il rispetto reciproco è sempre stato il nostro punto di forza», disse in tono pacato
Ma va' a quel paese, imbecille, pensai.
«Come sai, quest'anno chiuderemo nuovamente in passivo e saremo costretti a una ristrutturazione. Ne sono dispiaciuto.  Saremo costretti a chiudere alcuni reparti che oggettivamente non funzionano più. Il mercato in questi anni è cambiato, le vendite online aumentano e noi dobbiamo per forza stare al passo e rinnovarci. Dobbiamo ampliare il settore della tecnologia che traina il commercio e soprattutto specializzarci in altri settori di nicchia».
Annuii. Era vero. Di questo ne avevo parlato anche con Jason. A nessuno interessava comprare anticaglia da anziani e per niente in linea con i tempi. Entrare al Macy's Herald Square era un tuffo nel passato, a partire dall'arredamento secolare, che da un punto di vista poteva essere anche un valore aggiunto, ma per chi? Per nostalgici in punto di morte con le braccine corte?
«Sono felice che tu sia d'accordo. Comunque, in questi giorni ho studiato un piano di ristrutturazione e vorrei sottoportelo per avere una tua opinione».
Non dissi nulla e acconsentii, impassibile. Era la prima volta che chiedeva un mio parere, come del resto era anche la prima volta che sedevo su quel divano.
Brandon si alzò in piedi e dalla scrivania recuperò un fascicolo. Aveva almeno cento pagine ed era completamente rilegato da non so chi, dato che ero io a occuparmi di quel servizio
«Ti prego di leggerlo e dirmi cosa ne pensi».
«Per quando vuole il mio parere?», chiesi stringendo tra le mani quel portentoso fascicolo.
«Al più presto, prima della chiusura natalizia, voglio presentarlo a mio padre prima di Natale. Deve capire che il mercato si è fatto troppo competitivo e lui ha una visione così... così... opulenta».
Mi guardò dritto negli occhi e io distolsi lo sguardo per cercare quel lembo di pelle tra le sue sopracciglia.
Opulenta aveva detto? La stessa parola che aveva usato Jason qualche notte prima per descrivere la direzione aziendale. Il sospetto che quei due avessero parlato era piuttosto evidente, chi mai usava la parola “opulente” nel ventunesimo secolo? Ma non gli diedi peso
«Va bene, lo studierò e le farò sapere. È tutto?», chiesi alzandomi.
«Sì, è tutto».
«La riunione delle tre con i capi settore si terrà nella sala riunioni verde», dissi e poi mi avviai verso l'uscita.
«Perfetto, grazie Bijou».
Mi arrestai davanti alla porta e lo guardai ancora fermo accanto al divano, concentrato sul cellulare, e poi abbassai lo sguardo al fascicolo tra le mie mani.
Un bipal mio cellulare mi avvertì dell'arrivo di un messaggio. Potevo leggere l'intera missiva dalla notifica apparsa sul display.

Non vedo l'ora di vederti, piccola Bijou. Jason

«Bijou?», chiesi guardandolo sorridere al suo cellulare, sornione come il mio Prometeo.
Al suono della mia voce Brandon divenne improvvisamente cereo e sembrò quasi che qualche mago gli avesse appena scagliato addosso un incantesimo. Era pietrificato per quanto non si muoveva. Lo vidi socchiudere gli occhi un istante e poi appoggiare il cellulare alla scrivania. Arreso davanti all'evidenza.
E a me era bastato quella sua espressione per avere davanti all'improvviso la realtà
«Natalie, fammi spiegare», disse liberatosi dall'incantamento appena lanciatogli. «Volevo dirtelo, ma....».
Stringendo i denti, resistetti al desiderio di mandarlo al diavolo. Accartocciai il suo fascicolo tra le mani per scaricare una tensione che stava per farmi partire a razzo.
Brandon mi raggiunse e, appoggiate le mani sulle mie spalle, si piegò sul mio viso affinché lo guardassi negli occhi. Indietreggiai di due passi. Gli sbattei sulla testa il suo fottuto fascicolo con tutta la forza che avevo e poi mi spinsi verso l'uscita per andarmene via.
Lui mi precedette e si parò davanti alla porta.
«Natalie lascia che ti spieghi», disse ancora cercando di mettermi le mani sulle spalle.
Con tutta la forza che avevo, gli piantai un tacco appuntito dritto nel suo piede, volevo oltrepassare la pelle delle sue scarpe da centinaia di dollari.
Trattenne un urlo, mostrandomi una smorfia di dolore che era tutto un programma. Ma non ero soddisfatta e pertanto gli sbattei su quella testa di cazzo almeno cinque volte la sua bella proposta che a questo punto era la mia, sottratta in notti di sesso rovente.
«È capitato», disse senza spostarsi di un centimetro dalla porta. «Natalie, è capitato, sono stato uno stronzo, lo so, ma questo all'inizio. Quando ti ho visto nel tuo bagno in preda al panico, non ce l'ho fatta e ho preso l'identità di mio fratello per uscire da quella situazione, ma...».
«Non voglio sentire nienteee», dissi urlando, «non voglio ascoltare alcuna parola. Fammi uscire. Voglio andarmene».
«Natalie, è tutto diverso ora, non mi aspettavo tutto questo».
«Questo cosa? Per tutti questi anni ho sempre cercato di essere professionale, diligente, credevo avessimo implicitamente fatto un accordo di collaborazione e quella mattina potevi anche dirmelo. Non ci sarebbe stato alcun problema a chiudere la faccenda come un'avventura di una notte, ma perché prendermi in giro così? Non avevo alcun dubbio che tu fossi un povero stronzo, ma questo è davvero assurdo. Che problemi hai?».
«Natalie, cosa devo dirti?», mormorò con la testa bassa.
«Fammi uscire».
«Per favore, sono ancora io, quello di stamattina, quello a cui hai portato la colazione a letto. Natalie, davvero, non cambia nulla...».
«Sei solo uno stronzo», sentenziai.
Lui annuì. «Vero, ma questo prima».
«Ma perché?», chiesi disorientata davanti a quell'espressione che non era di Brandon ma di Jason. Insomma, di un essere umano che mi scombussolava. «Perché sei andato avanti con questa farsa?».
«Non lo so», disse affranto. «Natalie, non lo so, o meglio lo so, ma era difficile chiudere. Ogni minuto trascorso con te incasinava tutto».
«E poi cosa diavolo ci facevi al Lavo? Non mi sembra un locale adatto a un rampollo sfigato quale sei».
«Ti ho seguita», mormorò, poi mi sorrise e poi si rattristò subito dopo. «Non lo so, Natalie, sono confuso anche io», poi cercò in me uno conforto con quei due occhi che avevo sempre evitato, che poi avevo guardato fino in fondo in notti quasi insonni e ora mi mandavano in tilt.
«Sei così cambiata, guardati», disse, «non sei più quella che mio padre ha assunto per evitare che cadessi in tentazione, in questi anni ti ho visto trasformarti e così è aumentata anche la mia curiosità. Desideravo conoscerti, ma tu sei così... impenetrabile». Cercò di allontanarmi dalla porta ma io resistetti e lui non insistette molto.
«Lo vedevo che venivi qui solo per eseguire il lavoro, sempre impeccabile, un robot. Parlavi poco, ti relazionavi il giusto e alle cinque te ne andavi. E io mi chiedevo dove andassi, cosa facessi quando non eri dietro la scrivania, e poi in tutti questi anni non mi hai mai rivolto un sorriso. Ma te l'ho visto fare la sera della cerimonia dell'avvento. Stavi scrivendo il tuo desiderio e hai sorriso. E Natalie, ero curioso...», dalla giacca tirò fuori la piccola busta rossa in cui avevo sigillato il mio desiderio, «così ti ho seguito».
«Hai letto il mio desiderio?», chiesi senza fiato, fissando il lembo della busta aperta.
Lui annuì e io mi voltai per dargli le spalle e proteggermi dalla debolezza in cui ero caduta. Aveva violato una piccola intimità.
Era un piccolo desiderio quello racchiuso nella busta. Scritto più per scherzo che per altro. Ormai ero così disillusa da non crederci più in quella cosa. Sì, insomma, chiamiamola così la faccenda che sembra orientare tutto il mondo e, nel mio personale caso, non aveva niente a che fare con il progetto di fantomatica designer di bijoux. In fondo quello era un sogno in dirittura d'arrivo ed era il risultato della mia mente, mentre per quell'altro era necessario davvero un miracolo, che l'universo ci mettesse lo zampino per farmi trovare un uomo da amare. Le mie storie fino ad allora erano sempre state dei fallimenti, per questo avevo dedicato tutta me stessa ad altro. Ma ora, con l'avvicinarsi della realizzazione, quel buco nel cuore si era fatto risentire.
«Natalie...», mormorò alle mie spalle. La sua mano mi sfiorò un braccio affinché mi voltassi.
«Ovviamente non sei tu la risposta a quel desiderio», dissi.
«Nemmeno Jason?», chiese prendendomi la mano.
Scossi la testa con un groppo in gola.
«Natalie...», mormorò, «Non cambia nulla e vale anche per me il sentimento che provi. Vorrei essere io quell'uomo».
«Mi hai mentito», bofonchiai afona.
«Lo so».
«E come pensavi di rimediare? Quando me lo avresti detto?».
«Con questo», disse. Mi voltai e lo vidi estrarre dalla tasca interna della giacca una piccola scatoletta origami fatta in cartoncino color rosso. Mi morsi le labbra per non sorridere, ma era quasi impossibile. Avevo passato una sera intera a insegnargli a fare scatolette di tutte le forme e colori.
«Aprilo», disse porgendomelo.
Sfilai il nastro argentato e osservai i dettagli di quell'involucro. Era stato bravo, davvero bravo.  
«È tuo», disse una volta che il contenuto si svelò ai miei occhi.
Era un piccolo anello in oro bianco con il simbolo dell’infinito. Era stato il primo modello da me disegnato quando ero ancora una studentessa al college.
«Pensavo fosse di buon auspicio e magari una risposta al tuo desiderio».
Chiusi gli occhi e sorrisi.
Chi era l'uomo che ora era davanti a me? Chi era? In rapida successione tutte le tessere di un puzzle si ricomposero nella mia mente, dal nostro primo giorno di lavoro a oggi.
Gli porsi la scatoletta e lui prese l'anello per infilarmelo al dito.
«Piacere, sono Brandon», disse ridendo.
«Lieta, Natalie», risposi stringendo la sua mano e avvicinandomi a lui per un abbraccio nel quale scivolai dentro. Brandon sospirò profondamente e piegandosi sul mio collo mi diede un bacio e mi sussurrò: «Che dici, posso offrirti la colazione?».
«Volentieri», risposi.
E così, mano nella mano, attraversammo i corridoi dell'impero Guillaime per ricominciare tutto daccapo.




L’autrice:
SARA TESSA è nata a Milano, dove vive tuttora. Ha passato la sua vita in attesa che qualcosa accadesse poi, improvvisamente, un uragano si è abbattuto su di lei: L’uragano di un batter d’ali (qui la nostra recensione), suo romanzo d’esordio inizialmente autopubblicato, è uscito con la Newton Compton all’inizio del 2014 ed è volato ai primi posti delle classifiche dei libri più venduti. Altrettanto bene è stato accolto Il silenzio di un batter d’ali (qui la nostra recensione). Entrambi saranno a breve tradotti in Spagna. Ha una filosofia di vita che cerca di seguire ogni giorno: «Se smetti di sognare, allora stai dormendo». Nel 2014 ha pubblicato la novella Tutti i brividi di un batter d’ali, solo in versione digitale, e, nel 2015, Se fossi qui con me questa sera (qui la nostra recensione), a cui è seguito Un'ora un giorno un anno senza te.



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Insaziabili Letture: 3° Giveaway #Natale2015

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CHIEDIMI CHI SONOdi Megan Maxwell
edito Newton Compton
Genere: Erotico

 
Yanira fa la cantante e lavora in un hotel a Tenerife. È single e vive con la famiglia. La sua vita è tranquilla e piacevole. Ma Yanira ama sperimentare cose nuove ed è per questo che decide di entrare nel mondo degli scambisti... 

FREDDO COME LA PIETRA di Jennifer L. Armentrout
edito Harlequin Mondadori
Genere: Paranormal Romance YA


Layla Shaw sta cercando di rimettere insieme i pezzi della sua vita. Il suo bellissimo migliore amico, Zayne, è off limits per sempre a causa del suo bacio ruba-anima. Il clan Warden che l'ha sempre protetta, improvvisamente nasconde segreti pericolosi. E lei può a malapena pensare a Roth, il principe demone malvagiamente bello che è riuscito a capirla come nessuno prima. Ma alcune volte il fondo é solo l'inizio.... 



  
DOPO DI LEI di Joyce Maynard
edito Harlequin MondadoriGenere: Thriller


È l'estate del 1979 a Marin, California. Rachel e la sorellina Patty esplorano indisturbate la montagna dietro casa, lasciate un po' a loro stesse da un padre detective di polizia e da una madre triste e depressa. Possono sperimentare la libertà, i giochi di un'infanzia senza confini, inventarsi le giornate senza seguire alcuna regola in particolare. Finché un giorno delle giovani donne iniziano a essere uccise su quella montagna... 



Il Giveaway inizierà oggi Lunedì 14 Dicembre  e si concluderà Sabato 19 Dicembre  alle ore 12:00.
Comunicheremo il vincitore nel pomeriggio di Domenica 20 Dicembre .
I vincitori verranno comunicati sia tramite post sul blog che nella pagina dell'evento su Facebook.
I vincitori saranno i primi 3 nomi che compariranno nella lista che pubblicheremo dopo aver eseguito l'estrazione tramite il sito rafflecopter.com.

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Anteprima: "TWILIGHT REIMAGINED" di Stephenie Meyer.

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Genere: Paranormal
Editore: Fazi Editore
Pagine: 440 ca
Prezzo:
Uscita:  14 Gennaio 2016








Sinossi:

Nello Stato di Washington c’è la cittadina più piovosa d’America. La conoscono bene Edward Cullen e Bella Swan, i protagonisti di Twilight. Lei, dolce ragazza qualunque; lui, giovane misterioso con un segreto inconfessabile. La loro storia d’amore ha conquistato i cuori di tutti.
Ma cosa succederebbe se i ruoli si ribaltassero? Se non fosse lui la creatura straordinaria, l’eroe meraviglioso dotato di capacità sovrumane ma… lei? Beaufort è un ragazzo alto e dinoccolato trasferitosi dall’Arizona. Quando incontra la bellissima Edythe, non sa che la fortissima attrazione che prova per lei potrebbe essere la sua rovina…
Spettacolare riscrittura di Twilight, Life and Death riapre le porte del piccolo mondo di Forks. Ricalcando il palcoscenico della storia d’amore più amata degli ultimi anni e ardenti di quella stessa passione che ha stregato milioni di fan in tutto il mondo, Beaufort e Edythe conquisteranno il lettore con il calore rassicurante di un’atmosfera conosciuta e la sorpresa di un finale completamente nuovo.





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